Annalisa Marzotto, nata nel 1957, è stata la seconda figlia della nota stilista e contessa Marta Marzotto, ed è morta nel 1989 a causa di una fibrosi cistica, una malattia genetica per cui ad oggi non esiste cura. In occasione della scomparsa della madre, avvenuta nel 2016, la terzogenita Diamante ha voluto raccontare per la prima volta le sensazioni della contessa all’epoca della morte della giovane figlia: “Mamma ha pianto tantissimo quando è scomparsa Annalisa, ma il dolore se lo portava dentro da quando era nata perché ancora non si conosceva la fibrosi cistica. In quella circostanza è stata un drago: ha pianto per un anno intero e poi si è rimboccata le maniche ed è ripartita“.
Ma, più di tutti, a instaurare un rapporto stretto con Annalisa è stato il fratello minore Matteo Marzotto che, anni dopo la morte della sorella, ha fondato, assieme al professor Gianni Mastella, la Fondazione Italiana per la Ricerca sulla Fibrosi Cistica. Correva l’anno 1997: “Quando lei è scomparsa, ero troppo giovane per capire fino in fondo che cosa avrei potuto fare. Nel frattempo la mia famiglia ha contribuito alla creazione di una fondazione, che ha lo scopo di raccogliere donazioni destinate alla ricerca. Mi impegno anch’io, nel nome di mia sorella“. Il giovane imprenditore ha ricordato, a una trasmissione televisiva Rai, la difficile vita quotidiana della sorella: “Lei era la secondogenita di cinque figli, tra noi c’erano nove anni di differenza. Era piccolissima, un anno appena, quando i miei genitori scoprirono che le sue difficoltà respiratorie dipendevano dalla gravissima patologia da cui era afflitta. La verità fu subito chiara: non c’erano cure risolutive.”
“Io alla vita ho sempre sorriso, lei a me, non sempre. Ho perduto una figlia: è stata la mia grande tragedia”
“Mi tengo stretti i bei ricordi: le nuotate che facevamo insieme a Porto Ercole quando, già ad aprile, con l’acqua gelata, lei si tuffava e io la seguivo, le vacanze in barca con il suo fidanzato, Riccardo, un mio carissimo amico tuttora… A tratti pareva che il destino avrebbe potuto scordarsi della terribile sentenza di morte. Io me ne dimenticavo. “Lei è una persona creativa, sa cavarsela sempre”, pensavo tra me e me. Invece la fibrosi cistica è una patologia cattiva e subdola. Annalisa si doveva sottoporre a massaggi al petto almeno tre volte al giorno. Glieli facevamo a turno, mamma, papà e noi fratelli. E poi c’era la sua camera, con il grosso barattolo di vetro pieno di pastiglie rosse e la tenda a ossigeno, dove da piccolissimo mi intrufolavo per giocare. Per lei era difficile respirare e non aveva mai fame. Le stuzzicavamo l’appetito con i cibi che adorava: il prosciutto cotto, le meringhe e i marron-glacè“.
Marzotto sottolinea anche l’importanza dello screening e delle misure preventive contro la fibrosi cistica attualmente a disposizione: “In Italia sono quasi tre milioni i portatori sani che possono trasmettere la malattia. Ecco, è importante capire se il proprio figlio potrà soffrire di fibrosi cistica. Come per la sindrome di Down o per l’anemia mediterranea, è fondamentale la diagnosi prenatale; non solo. Prima di decidere di avere un bimbo, sarebbe importante che le coppie facessero un esame del sangue: è così che si può scoprire di avere un gene mutato e quindi di essere genitori a rischio. Un semplice esame, che io ovviamente ho fatto e che può far risparmiare anni di sofferenza“.
La fibrosi cistica, come riporta il sito ufficiale della fondazione, è “una malattia in genere grave, presente dalla nascita in quanto dovuta a una mutazione del gene CFTR. Chi nasce malato ha ereditato sia dal padre sia dalla madre una copia del gene mutato. Padre e madre sono, quasi sempre senza saperlo, portatori sani di una copia di tale gene, che normalmente determina la sintesi di una proteina chiamata CFTR deputata al regolare funzionamento delle secrezioni di molti organi. Tale proteina funziona poco o niente in chi nasce con la doppia copia del gene mutato”.
Ciò porta ad una alterazione delle “secrezioni di molti organi che, risultando più dense, disidratate e poco fluide, contribuiscono al loro danneggiamento. A subire il maggiore danno sono i bronchi e i polmoni: al loro interno il muco tende a ristagnare, generando infezione e infiammazione ingravescenti. Queste, nel tempo, tendono a portare all’insufficienza respiratoria. Oltre che respiratori, i sintomi sono a carico del pancreas, che non svolge l’azione normale di riversare nell’intestino gli enzimi: ne deriva un difetto di digestione dei cibi, diarrea, malassorbimento, ritardo di crescita nel bambino e scadente stato nutrizionale nell’adulto. Il progredire del danno pancreatico porta spesso con l’età a una forma di diabete“. Come detto, a oggi le cure sono puramente indirizzate all’alleviamento dei sintomi e l’aspettativa di vita del paziente si attesta attorno ai 40 anni.
Annalisa Marzotto, però, è morta a soli 32 anni, dopo aver vissuto un’esistenza condotta al massimo delle proprie possibilità. Forte, nel fratello Matteo, il rammarico di non averla potuta salutare un’ultima volta: “Io facevo il militare, avevo 23 anni. I miei genitori mi avevano avvertito che la situazione era improvvisamente degenerata, malgrado Annalisa fino alla mattina stessa avesse creduto di giocarsela, come ogni volta che aveva una crisi respiratoria. Sono volato fin lì, fino a quella città dove per qualche mese, durante l’università, avevo vissuto insieme a mia sorella. Quando sono arrivato, se n’era già andata. E io mi sono sentito profondamente solo. In quel momento ho capito quanto mi sarebbe mancata“.