Alfredo Belli Paci, nato nel 1920 e morto nel 2007, era il marito di Liliana Segre. Marchigiano d’origine e milanese d’adozione, è stato un politico e dopo l’armistizio fu tra le 600mila persone che non aderì alla Repubblica di Salò, preferendo essere internati dai tedeschi. Belli Paci e Segre si incontrarono nel 1948 e si sposarono nel 1951. Ebbero due figli, Luciano, Alberto e Federica. Negli Belli Paci si candidò nelle file del MSI, con Almirante, ma Liliana lo mise di fronte a un aut-aut. O il matrimonio o la politica e lui scelse di rinunciare alla politica. Suo figlio Luciano lo descrive come un uomo severo, che raramente parlava della sua esperienza in guerra.
Dopo aver frequentato l’Accademia Militare di Livorno, Belli Paci si arruolò nell’esercito dove fu sottotenente d’artiglieria in Grecia durante la Seconda guerra mondiale. Fu fedele al Re, motivo per cui si rifiutò di aderire alla Repubblica Sociale Italiana e venne così catturato e tenuto prigioniero nei campi nazisti. Suo figlio Luciano raccontò la scelta del padre in un lungo articolo a Il Corriere in cui raccontò:
“Ingannati da false promesse di rimpatrio, gli Imi (Internati militari italiani) presero docilmente la via della deportazione. Il gruppo di cui faceva parte il sottotenente Alfredo Belli, dopo un interminabile viaggio verso l’ignoto attraverso i Balcani, il 23 settembre raggiunse il primo lager, Luckenwalde, a sud di Berlino. Ne seguiranno altri sei: Gli Imi – apostrofati con disprezzo “Badog-l-i-o” dai tedeschi, e privi della supervisione della Croce Rossa, riservata ai “veri” prigionieri di guerra, furono assoggettati ad un trattamento vendicativo ed ebbero decine di migliaia di morti per maltrattamenti, stenti, malattie non curate e perfino fucilazioni. Anche Alfredo, come tutti, passò quei 19 mesi affamato con razioni alimentari ai limiti della sopravvivenza, esposto al gelo di due inverni nella sua divisa estiva sempre piïù lacera, tenuto in condizioni igieniche e di promiscuità pietose, senza cure mediche, vittima di prepotenze e vessazioni di ogni tipo”
“Gli ufficiali repubblichini battevano a tappeto i lager” – prosegue Luciano Belli Paci – “A chi accettava di entrare nel loro esercito bastava mettere una firma con uno scarabocchio illeggibile e avrebbe ottenuto la fine immediata dell’incubo, il ritorno in patria, cibo, cure, divise pulite, onori, la possibilitïà di rivedere le famiglie alla prima licenza. Aderirono in pochissimi. Alfredo fu uno dei 600mila che restarono prigionieri per scelta, facendo sì che la Rsi non riuscisse a dotarsi di forze armate in grado di incidere nel conflitto.”
Finita la Guerra, Alfredo Belli Paci era ridotto allo stremo delle forze e pesava appena 40 chili. Si laureò in Giurisprudenza e diventò avvocato. Nel 1948 incontrò Liliana Segre e i due si sposarono nel 1951, vivendo insieme fino alla morte di lui nel 2007. La coppia ha avuto tre figli: Alberto, Luciano e Federica.
Nel 1979 si candidò come indipendente nella lista del Msi alle elezioni politiche. Una scelta che venne parecchio criticata, in primis da sua moglie, Liliana, antifascista e politica italiana, superstite dell’Olocausto e testimone attiva della Shoah.. Ecco infatti cosa ha riportato la donna in un’intervista del 2020.
In una puntata di “Che tempo che fa” del 2020 infatti, Liliana Segre ha raccontato la scelta controversa del marito di aderire al Movimento Sociale Italiano guidato dall’ex repubblichino Giorgio Almirante. “Mio marito, che era stato uno che aveva scelto due anni di internamento pur di non stare nella RSI, vedendo molto disordine, per un certo periodo aderì a una destra in cui c’era anche Almirante. Io ho molto sofferto e ci fu una grande crisi tra di noi. A un certo punto misi mio marito e me sullo stesso piano e dovevamo sceglierci di nuovo. O separarci”. Ma poi lui cambiò idea: “Per fortuna lui rinunciò per amore nei miei confronti a una eventuale carriera politica. E io aprì le braccia a un amore ritrovato e siamo stati insieme per altri 25 anni”.