Fabio Cinti è un cantautore nato a Ceprano il 20 luglio del 1977. La sua carriera l’ha visto collaborare con molti artisti noti come Morgan, Franco Battiato e Paolo Benvegnù. In attività dal 1996 l’artista ha pubblicato nove album. L’abbiamo intervistato per parlare con lui dei progetti e del futuro della musica in generale.
Ciao Fabio, come va la tua carriera? Quali sono i progetti che hai in piedi?
Ciao! Mi sembra che tutto vada bene! Al momento stiamo vivendo, io e Alessandro Russo, la promozione di questo nuovo album… Personalmente mi sto occupando di tutt’altro, sono alle prese con un saggio di filosofia…
In passato hai collaborato con Morgan e Franco Battiato, due artisti molto diversi. Cosa puoi dirci di loro?
Sì, sono artisti molto diversi, dai quali ho imparato cose diverse proprio perché il loro approccio alla vita è diverso. In questo momento mi viene in mente che nell’ultimo periodo della sua vita Franco cercava la sottrazione, mentre Morgan cerca la moltiplicazione, e questo sia nelle loro composizioni che in generale nella vita. Due approcci completamente diversi, ma credo, in fondo, che il fine sia lo stesso.
Morgan di recente è stato protagonista di diverse polemiche. Tu che lo conosci bene, qual è la tua opinione?
Mah… per chi lavora anche in televisione le polemiche fanno parte del mestiere. Morgan è un personaggio esuberante e spesso fuori dagli schemi, è abbastanza naturale che si scontri con dei sistemi che tentano sempre di incasellare chi si trova a frequentarli. E poi non ha certamente un carattere facile.
Quali sono gli artisti a cui ti sei ispirato e qual è il tuo concetto di musica?
Oltre a Franco Battiato e ai grandi cantautori italiani ci sono stati molti artisti, più o meno noti (da classici come i Pink Floyd o Lou Reed, fino ai meno noti Dead Can Dance o tanti artisti del brit-pop…). Al momento penso che la distinzione tra musica, intesa come arte, e intrattenimento sia più forte che mai anche se forse il pubblico non se ne rende abbastanza conto. Il rischio però è sempre quello di un appiattimento generale e di una disabitudine ad ascoltare la parte artistica della musica, perché richiede di essere più attivi. La musica di consumo veloce, quella dei supermercati, i flussi continui delle piattaforme di streaming, non credo possano dare più di tante emozioni, ma essere appunto un sottofondo indistinguibile di suoni dei quali non si conosce neanche l’autore. Sembra retorico dirlo, ma forse un po’ più di silenzio e un po’ di selezione farebbe bene a tutti.
In che stato di salute si trova la musica italiana?
Dipende da che lato la si guarda! Anche in questo caso, da un lato c’è molto intrattenimento inutile e forse anche dannoso, dall’altro ci sono certamente cose interessanti. Credo, poi, che lo stato di salute dipenda fortemente da chi ascolta e da quello che cerca il pubblico. Se il pubblico ha un livello di scolarizzazione basso e, in generale, un livello culturale basso, è chiaro che non ce la fa ad ascoltare musica che abbia una certa profondità. Bisogna elevarsi un po’, la musica fa parte della nostra vita in modo importante e potrebbe dare un contributo serio alla nostra crescita. Sentire testi che sembrano scritti da bambini delle medie in gita non è sempre edificante, anche perché non è sempre stato così e il paragone con quello che abbiamo avuto fa riflettere.