Con il termine boppone, un neologismo derivato dall’inglese, di conio piuttosto recente, si intende un pezzo musicale estremamente ritmato e dalle sonorità orecchiabili; per estensione, arriva ad indicare semplicemente un qualsivoglia brano di successo.
La traslitterazione italiana deriva dall’inglese “bop” ed è stata sdoganata di recente, anche al di fuori dei classici circuiti autoreferenziali dei social, grazie a un post di Emma Marrone, che ha così descritto “Apnea” il suo brano per Sanremo 2024, su Twitter
https://t.co/HeGEFOhv7S
Sto boppone per voi ❤️ pic.twitter.com/7Y44G0SDKT— Emma Marrone (@MarroneEmma) February 7, 2024
L’origine del termine, che ha assunto il significato odierno più o meno da una decina d’anni, risale molto probabilmente agli anni ’40 del Novecento, quando “bop” (o “be-bop”, o “re-bop”) stava ad indicare semplicemente un particolare sottogenere di musica jazz, caratterizzata da estrema velocità esecutiva e da uno stile compositivo molto più “libero” e meno legato a rigide partiture scritte, come invece avveniva regolarmente prima d’allora (il luogo comune secondo cui il jazz sarebbe “solo improvvisazione” nasce proprio, per inciso, da una lettura superficiale del fenomeno).
I maggiori esponenti di questa corrente furono il trombettista Dizzy Gillespie e il sassofonista contralto Charlie Parker
Ad oggi, comunque, l’etimologia certa del termine non è ancora stata definita; secondo molti studiosi, ‘bop’ sarebbe null’altro che un insieme di lettere prive di senso compiuto pronunciate dai musicisti e i cantanti jazz dei tardi anni ’30 durante le sessioni di canto ‘scat’, ovverosia con l’inserimento di parole inventate e/o inesistenti all’interno di una melodia predeterminata; in epoca moderna, uno dei maggiori esponenti nostrani dello scat è stato Lucio Dalla.