Barbara Balzerani, ex brigatista di spicco della colonna romana, è morta lunedì 4 marzo 2024 a 75 anni, dopo una lunga malattia che la costringeva a letto da un anno, assistita nella sua casa alla Garbatella dal compagno Marcello. Non risulta che avesse figli. Dopo aver scontato la sua pena, Balzerani era libera, dal 2011, e aveva intrapreso una feconda carriera da scrittrice (8, tra romanzi e memorie, i volumi pubblicati dal 1998 al 2023).
Nata a Colleferro nel 1949, Balzerani entra a far parte delle Brigate Rosse nel 1975, diventando in breve tempo dirigente della colonna romana. Qui, insieme al compagno Mario Moretti, organizza e mette in atto, tre anni dopo, il sequestro di Aldo Moro; base delle operazioni lo storico appartamento di Via Gradoli poi scoperto dalla polizia grazie a una soffiata, in aprile; sia Moretti che Balzerani, però, erano riusciti a fuggire.
Il rapimento del generale americano Lee Dozier, nel 1981, segna di fatto la fine della lotta armata in Italia; al contrario di altri compagni, però, Balzerani resterà latitante fino al 1985, nonostante numerosi avvistamenti, divenendo la “primula rossa” del terrorismo.
Condannata a sei ergastoli dopo la cattura, nel 1986, rivendica l’omicidio del sindaco di Firenze Lando Conti, e pur non dissociandosi mai pubblicamente dal suo passato di terrorista, l’anno dopo, durante un’intervista a tre con Moretti e Renato Curcio, annuncia la fine della militanza armata in Italia.
“Noi intendiamo porci [assumerci, ndr] la responsabilità di quest’esperienza davanti alla società di questo Paese”
Condannata a sei ergastoli, dal 2006 Balzerani ha goduto di libertà vigilata, e come detto, dal 2011 è uscita dal carcere. Fortemente critica nei confronti delle Nuove Brigate Rosse, responsabili degli omicidi di Marco Biagi e Massimo D’Antona, l’ex militante si è data alla scrittura; dopo l’autobiografia romanzata Compagna Luna, del 1998, abbiamo tra gli altri L’ho sempre saputo (2018) e Lettera a mio padre (2020). In una lunga intervista del 2020, Balzerani raccontava
“Ho fatto la scelta di una esposizione personale per poter riattraversare il mio percorso di vita e non solo la sua parte nota, costretta in una parentesi decontestualizzata. La ricostruzione di una fisionomia che avevo in comune con i compagni con cui ho condiviso la militanza. Compagni che venivano e vengono descritti come sagome vuote, come burattini appesi, come alieni venuti da chissà dove.
“Volevo offrire il racconto sul come s’è compiuta la mia scelta politica, le mie origini sociali, le occasioni, la determinazione e la problematicità di un vissuto niente affatto scontato. Volevo raccontare come avevo approcciato le mie scelte e la fatica di rielaborarle. Non cercavo scusanti ma risposte a domande che quegli avvenimenti hanno lasciato aperte. Non volevo sostituirmi al compito degli storici, ma riempire di memoria personale il percorso e le ragioni di tanti e tante che hanno osato liberarsi dalla paura di sfidare il potere.
“Tutto questo coincideva con la mia esigenza profonda di restituire senso a un pezzo della storia di questo paese ridotta a una vulgata deprivata di ragioni sociali e una condanna a senso unico. Scrivere è stato il racconto di un viaggio di ritorno che ha previsto prendere distanza dal contingente che nulla può spiegare se non dentro una storia più lunga che ci precede e ci sopravvive. Una storia che spesso si trova scritta più nelle pieghe della materia vivente, quella che non cambia versione a seconda delle stagioni.”