Alda Merini, nota poetessa protagonista ora della fiction Folle d’amore, ha avuto quattro figlie: Emanuela, nata nel 1955, Flavia, nata nel 1958, Barbara e Simona, nata nel 1972.Tutte sono nate dal matrimonio con Ettore Carniti, morto nel 1983. La loro infanzia, come si può immaginare, è stata tutt’altro che tranquilla. Emanuela lavora come infermiera psichiatrica, mentre Flavia è un’impiegata in pensione ed è sposata. Di seguito, i loro ricordi con la vita vissuta vicino e lontano dalla poetessa.
Le quattro ragazze, infatti, hanno vissuto con i genitori solamente pochi anni. Emanuela e Flavia furono allontanate dalla loro casa dopo un’accesa lite tra Alda Merini e suo marito, tornato a casa ubriaco. A seguito di questo, Flavia andò a vivere con uno zio mentre Emanuela fu accolta in un istituto per poi tornare dai genitori al compimento dei 15 anni. Al suo ritorno trovò una una madre già in difficoltà psicologica e, forse, proprio per questo scelse di sposarsi nel 1971. A scatenare il tutto fu sempre una lite tra i suoi genitori che il fidanzato tentò di placare, Di tutta risposta, però, il padre li mandò via di casa.
Da quel momento ha vissuto con il marito ad Omegna dove ha iniziato a lavorare come infermiera psichiatrica. Una professione dipesa sempre dall’esperienza con la madre. “Nessuno sceglie professioni d’aiuto se non ha avuto problemi in famiglia” – spiegò Emanuela – “in realtà vuoi curare te stesso ma non te ne accorgi inizialmente. Non a caso ho lavorato prima in ospedale però con l’introduzione della legge Basaglia ho chiesto aspettativa. Il primo centro a Omegna l’ho aperto io e negli anni ho capito che era un modo per curar me stessa”
Nel 2019, in occasione del decennale della morte della Merini, Emanuela pubblica il libro Alda Merini, mia madre, edito da Manni editore, che trovate anche su Amazon, in cui cerca di riappropriarsi della loro storia e di un rapporto sempre sbilanciato.
“Nessuna figlia e nessun figlio, forse, conosce fino in fondo la propria madre perché il rapporto non è alla pari” – ha spiegato Emanuela in un’intervista a La Svolta – “Non era una madre molto presente, come si intende normalmente una madre che si occupa a tutto tondo dei figli e della famiglia: tenendo conto anche del contesto, parliamo degli anni ’50, quando la donna era comunque ancora legata a un ruolo abbastanza tradizionale. Lei idealmente ha cercato di essere una brava mamma e una brava moglie e ha provato a farlo. Mio padre era un uomo classico, le voleva bene ma non la capiva fino in fondo. Forse sarebbe stato meglio se non avesse avuto figli o comunque non si fosse sposata”
Emanuela ha anche spiegato che da piccola veniva etichettata come “la figlia della matta” e se ne vergognava, perché allora “se finivi in manicomio era un marchio” e si veniva messi in disparte, perchè “la malattia mentale faceva paura”. La donna ha anche scherzato sul fatto che “Adesso invece mi vergogno in un altro senso, cioè provo a tirarmi fuori, quando posso, dalla popolarità della mia mamma perché sia in un caso sia nell’altro la gente non ti vede, vedono il figlio di, non vedono come sei tu e questo è un problema che ti porti nella vita”
“Mia mamma aveva un senso dell’umorismo spiccato che per fortuna mi ha trasmesso. Rideva di gusto per delle stupidate tanto da coinvolgere anche te. Ma anche nei momenti drammatici, piangeva, era angosciata e poi, quando il momento passava, raccontava l’ultima barzelletta e tu ridevi.”
Flavia, invece, è stata allontanata da casa all’età di sette anni. Da quel momento non ha più fatto ritorno in modo stabile. Per questo motivo i ricordi che ha di sua madre sono sicuramente meno dettagliati rispetto a quelli di Emanuela. Nonostante una prima infanzia difficile, comunque, è riuscita a costruire una vita tranquilla e normale. Il che vuol dire il matrimonio con Gianfranco, una figlia e tre nipotini. Oltre a questo, poi, anche un lavoro da impiegata dal quale ora è andata serenamente in pensione.
“Sono molto fiera di lei e ho imparato ad amarla dopo morta perché ho cominciato a leggere bene i suoi scritti e le sue poesie e mi sono anche io affezionata e sbalordita, mi dicevo “mamma mia, che cosa è riuscita a dire”, delle frasi che ti lasciano attonito” – ha spiegato Flavia tempo fa in un’intervista concessa ad Ambra Angiolini per Radio Capital – “Prima non è che la seguissi tanto anzi, ero più arrabbiata con lei. Arrabbiata perché non aveva fatto la mamma.”
“Non è facile, poi quando mi dicono “beata te perché sei sua figlia”… Beata te? No, lì vado fuori di testa. Ma come, noi abbiamo avuto un’infanzia terribile, una vita terribile.”
Barbara e Simona, invece, sono nate in un momento critico per la stabilità psichica della poetessa. Per questo motivo hanno vissuto in fasi alterne tra la loro casa e le famiglie affidatarie. Un’esperienza che le ha temprate ma non ha impedito loro di avere un futuro normale. Barbara, ad esempio, si è sposata, ha due figli e cerca di vivere la sua quotidianità con un pizzico di spensieratezza, cercando anche di rimandare un ricordo positivo della madre, non solamente legato agli anni del manicomio.
Barbara condivide con le sorelle la prospettiva di questa madre che non era molto presente ed era totalmente dedita alla poesia. “Era una madre alle volte scomoda ed imponente, quanto fragile. Per lei tutto ciò che era emozione, sia essa positiva che negativa, la trasformava in versi e con questi ci nutriva, credendo che fosse tutto ciò di cui avessimo bisogno… quindi le cose pratiche passavano in secondo ordine”
Barbara spiega che era affascinata da sua mamma, le dispiace che nell’immaginario collettivo la figura di Alda Merini sia strettamente collegata al periodo trascorso in manicomio, “perché lei scriveva da quando aveva 14 anni”. E ha bellissimi ricordi “A dispetto di chi possa pensare il contrario. Era dolcezza in ogni gesto, in ogni suo movimento e nella maniera di rapportarsi. Molti mi scrivono che si ritrovano nei suo versi e ne hanno tratto forza per uscire da stati depressivi”
“Amava cospargermi di borotalco e ancora conservo questa abitudine. Tutte le sere prima di addormentarmi. Era il suo modo di avere cura del mio corpo, insieme all’olio di ricino e controllava sempre anche la lingua. Poi mi preparava un risotto, che ricordo buonissimo, con il brodo di pollo”
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Simona Carniti, invece, nata nel 1972, è quella che meno di tutte ha avuto la possibilità di vivere Alda Merini come madre. Proprio a causa dei lunghi periodi di ricovero, infatti, è stata data subito in affidamento. Per questo motivo, forse, su di lei non si hanno notizie.