Kurt Cobain morì 30 anni fa, il 5 aprile del 1994, togliendosi la vita con un colpo di fucile. Il suo corpo fu ritrovato tre giorni dopo dall’elettricista Gary Smith nella casa di Seattle del cantante, sul lago di Washington, con a fianco una lettera scritta a mano dallo stesso leader dei Nirvana. Una messaggio, indirizzato all’amico immaginario dell’infanzia Boddah, in cui chiedeva scusa alla moglie Courtney Love e alla figlia Frances Bean, che all’epoca aveva solo due anni. Nella missiva, scritta con inchiostro rosso, Cobain aprì il suo cuore sulla profonda crisi depressiva che lo aveva colpito, soprattutto in ambito musicale.
“A Boddah,
Vi parlo dal punto di vista di un sempliciotto un po’ vissuto che preferirebbe essere un bimbo lamentoso. Questa lettera dovrebbe essere abbastanza semplice da capire. Tutti gli avvertimenti della scuola base del punk-rock che mi sono stati dati nel corso degli anni, dai miei esordi, come l’etica dell’indipendenza e della comunità si sono rivelati esatti.
Io non provo più emozioni nell’ascoltare musica e nemmeno nel crearla e nel leggere e nello scrivere da troppi anni ormai. Questo mi fa sentire terribilmente colpevole. Per esempio, quando siamo nel backstage e le luci si spengono e sento il maniacale urlo della folla cominciare, non ha nessun effetto su di me, non è come era per Freddie Mercury, che adorava la folla e ne traeva energia e io l’ho sempre invidiato per questo. Il fatto è che io non posso imbrogliarvi, nessuno di voi. Semplicemente non sarebbe giusto nei vostri confronti né nei miei.
C’è del buono in ognuno di noi e penso che io amo troppo la gente, così tanto che mi sento troppo fottutamente triste. Il piccolo triste, sensibile, ingrato, Pesci, Gesù santo! Perché non ti diverti e basta? Non lo so. Ho una moglie divina che trasuda ambizione ed empatia e una figlia che mi ricorda troppo di quando ero come lei, pieno di amore e gioia. Bacia tutte le persone che incontra perché tutti sono buoni e nessuno può farle del male. E questo mi terrorizza a tal punto che perdo le mie funzioni vitali.
Non posso sopportare l’idea che Frances diventi una miserabile, autodistruttiva rocker come me. Mi è andata bene, molto bene durante questi anni, e ne sono grato, ma è dall’età di sette anni che sono avverso al genere umano. Solo perché a tutti sembra così facile tirare avanti ed essere empatici. Penso sia solo perché io amo troppo e mi rammarico troppo per la gente. Grazie a tutti voi dal fondo del mio bruciante, nauseato stomaco per le vostre lettere e il supporto che mi avete dato negli anni passati. Io sono troppo un bambino incostante, lunatico! Non ho più nessuna emozione, e ricordate, è meglio bruciare in fretta che spegnersi lentamente.
Frances e Courtney, io sarò al vostro altare. Ti prego Courtney continua ad andare avanti, per Frances. Perché la sua vita sarà molto più felice senza di me. VI AMO. VI AMO”.
Come arrivò al suicidio Cobain? Qualche giorno prima di togliersi la vita, durante la tappa romana di marzo del tour europeo dei Nirvana, Cobain finì in ospedale per overdose. Una prima avvisaglia, secondo la moglie, di quello che sarebbe successo di lì a poco. Tornato negli USA, Cobain decise di disintossicarsi all’Exodus Medical Center di Los Angeles, ma fu più forte il senso di angoscia. Fuggì a Seattle, dove poi si sarebbe tolto la vita.
Nella lettera colpisce la presenza del verso della canzone di Neil Young, Hey Hey, My My (Into the Black), “è meglio bruciare in fretta che spegnersi lentamente“. Young fu talmente colpito dalla citazione da dedicare a Cobain il suo album, Sleeps with Angels.