Da un punto di vista strettamente linguistico il termine apartheid può essere tradotto come separazione e partizione. Due significati che, poi, hanno costruito le fondamenta di una delle politiche segregazioniste razziali più dure del ‘900. In questo modo, infatti, il governo con l’etnia bianca del Sudafrica ha dominato quella nera dal 1948 fino al 1991.
A usare il termine apartheid in senso politico per la prima volta, comunque, è stato il primo ministro sudafricano Daniel François Malan nel 1915. Con le elezioni del 1928, poi, nel paese si videro i primi elementi di segregazione razziale. A completare la teorizzazione e il progetto della segregazione, però, sono stati un un gruppo di intellettuali afrikaner influenzati dal nazismo durante la Seconda Guerra Mondiale.
Ma come è riuscita una minoranza ad applicare l’Apartheid ad una maggioranza etnica che corrispondeva, più o meno, all’80% della popolazione globale del Sudafrica? A fare la differenza è stato, ovviamente, il potere economico, e la programmazione sistematica dell’esclusione dalla vita politica, e quindi dalle diverse cariche, oltre che dall’istruzione. Negli anni Sessanta, ad esempio, 3,5 milioni di uomini e donne nere di etnia bantu lasciarono sotto minaccia le loro case e per trasferirsi nei ghetti.
Furono privati di ogni diritto politico e civile, e poterono frequentare per acquisire un’istruzione esclusivamente scuole agricole e commerciali speciali. I negozi erano obbligati a servire tutti i clienti di etnia bianca, prima di quelli di etnia nera. Questi ultimi, inoltre, dovevano avere speciali passaporti interni per muoversi nelle zone riservate alle etnie bianche, pena l’arresto.
Ecco, dunque, alcuni aspetti della vita in cui l’Apartheid agiva a favore della minoranza bianca:
- Proibizione dei matrimoni interrazziali
- Avere rapporti sessuali con una persona di razza diversa diventava un fatto penalmente perseguibile
- I cittadini dovevano essere registrati in base alle loro caratteristiche razziali (Population Registration Act)
- Possibilità di bandire ogni opposizione etichettata dal governo come comunista
- Proibire alle persone di colore (bantu, coloureds e in seguito asiatici) di entrare in alcune aree urbane
- Le persone di colore non potevano utilizzare le stesse strutture pubbliche (fontane, sale d’attesa, marciapiedi)
- Una serie di provvedimenti tutti tesi a rendere più difficile per i neri l’accesso all’istruzione
- L’istituzione dei bantustan, stati-ghetti per la popolazione nera, nominalmente indipendenti ma in realtà sottoposti al controllo del governo sudafricano
- Privazione della cittadinanza sudafricana e dei diritti a essa connessi per gli abitanti dei bantustan
- La popolazione nera poteva frequentare i quartieri della gente bianca solo con degli speciali passaporti
Questo sistema razzista terminerà formalmente agli inizi degli anni Novanta con la scarcerazione di Nelson Mandela, leader del movimento di liberazione del Sudafrica. E con le prime elezioni effettivamente libere del 1994, quando lo stesso Mandela diventa presidente del suo paese.