Circostanze straordinarie richiedevano parole straordinarie. Così, il primo discorso di Winston Churchill come Primo Ministro, il 13 maggio 1940, nei terribili giorni della Seconda Guerra Mondiale, con i nazisti vittoriosi su più fronti, si ispirarono a quelle del nostro Giuseppe Garibaldi. Il quale, il 2 luglio 1849 ispirò le sue forze rivoluzionarie a Roma dicendo loro: “Offro fame, sete, marce forzate, battaglie e morte“. Da bravo ammiratore dell’eroe dei due mondi, Churchill quella stessa frase rielaborò. E rivolgendosi al popolo inglese tutto, parlò di sangue, fatica, lacrime e sudore.
Dico al Parlamento come ho detto ai ministri di questo governo, che non ho nulla da offrire se non sangue, fatica, lacrime e sudore. Abbiamo di fronte a noi la più terribile delle ordalìe. Abbiamo davanti a noi molti, molti mesi di lotta e sofferenza … Voi chiedete: qual è il nostro obiettivo? Posso rispondere con una parola. È la vittoria. Vittoria a tutti i costi, vittoria malgrado qualunque terrore, vittoria per quanto lunga e dura possa essere la strada, perché senza vittoria non c’è sopravvivenza.
Più che rubare, dunque, Churchill omaggiò uno dei suoi grandi miti, a cui, avrebbe voluto da sempre dedicare una biografia. Garibaldi, come scritto in precedenza, parlò davanti al Parlamento della Repubblica romana. E per incitare i suoi pochi uomini che avrebbero dovuti fronteggiare gli 86 mila delle forze combinate francesi, spagnole, napoletane, toscane e austriache disse loro: “Non ho null’altro da offrirvi se non sangue, fatica, lacrime e sudore“.
Ma il nostro Peppino nazionale ispirò anche Theodore Roosevelt nel suo discorso all’US Naval War College il 2 giugno 1897. Chi ispirò, però il nostro Garibaldi? Impossibile enumerare tutte le volte in cui le parole sangue, sudore e lacrime comparvero in scritti storici o artistici. Abbiamo traccia di un “sangue, sudore, e milioni di lacrime bagnate“, in una lirica di Lord Byron nel 1823. Prima ancora in una poesia di John Donne del 1611. E in Cicerone e Tito Livio.
Per tornare a Winston Churchill e al suo discorso del 13 maggio del 1940, nel 2016 la Banca d’Inghilterra lo celebrò apponendo la celebre frase sotto l’effigie dello statista, sulla banconota da 5 sterline.