Cari gentili lettori, forse avrete piacere a sapere che la famigerata Lady Whistledown, dea ex machina di tutte le vicende narrate nell’universo di Bridgerton sia davvero esistita. Eliza Haywood era un’autrice che divulgava sotto falso nome e in forma di “newsletter” tutti i segreti dell’alta società britannica. Il suo giornale si chiamava The Parrot (il pappagallo) e dal 1746, anno della prima pubblicazione, spaventava nobili e nobilastri inglesi con le sue rivelazioni.
Figura interessante e misteriosa, Eliza Haywood nacque a Londra nel 1693. Prese il cognome Haywood dopo le nozze con il Reverendo Valentine Haywood. Fonti storiche rivelano che la sua prima apparizione pubblica avvenne a Dublino, nel 1715, durante uno spettacolo di Timon of Athens di Shakespeare, allo Smock Alley Theatre. Dalla relazione ufficiale ebbe un figlio, ma la relazione sentimentale più duratura e appassionata fu con un libraio, William Hatchett, a cui rimase legata per vent’anni.
Insieme ebbero anche un altro figlio. La sua carriera di scrittrice iniziò nel 1719 con i primi capitoli di Love in excess, a novel. E con altre opere come The Wife and the Husband e con i periodici The Young Lady. Con ogni probabilità, il suo scritto più noto fu Fantomina, or Love in a Maze del 1724, in cui raccontava le vicende di una donna che, pur di sedurre l’uomo amato, si travestì in mille modi, dalla prostituta alla vedova. Qui per la prima volta evidenziò come la donna potesse agire liberamente e senza paura, celandosi però dietro un’altra identità. Esattamente come accade a Lady Whistledown (aka Penelope Featherington).
Nella sua carriera amò analizzare i complessi rapporti uomo-donna all’interno di una società molto restrittiva e codificata. Non rinunciando a una certa sensualità. Morì nel 1756.
The Parrot, come detto, era un gazzettino piuttosto dettagliato sulle vite e le opere della bella società londinese del ‘700. Scritto dal punto di vista di un pappagallo che dalla sua gabbia nella casa di famiglia, osservava e ripeteva quanto vedeva. Una metafora chiara della prigione in cui le donne venivano spesso rinchiuse. Poiché, come tali, non avevano diritto a un pensiero libero.
“Come se l’aspetto del mio corpo avesse influisse in qualche modo sulle facoltà della mente. Eppure è così che fanno loro, che abbia ragione o torto, condannano tutto quello che dico ancora prima che lo pronunci“, si legge in un passaggio, pubblicato sul domenicale dell’Observer in un articolo di Adam Smith. Docente dell’università di York che sta curando la pubblicazione dei suoi scritti.