Il World Emoji Day è una festa non ufficiale che celebra le emoji, i simboli informatici creati da Scott Fahlman che danno “tridimensionalità” a mail e messaggi sul web. Nasce nel 2014 per volere di Jeremy Burge, fondatore di Emojipedia, l’enciclopedia delle emoji. Perché il 17 luglio? Perché è il giorno che compare sull’emoji del calendario.
Nate dalla mente del professor Fahlman con lo scopo di distinguere post seri da quelli più scherzosi, le emoji hanno acquisito nel tempo un valore linguistico potente. Diventando dei componenti quasi necessari in ogni frase. Questo perché racchiudono in simboli estremamente chiari uno stato d’animo difficile da esprimere a parole. Emoji, infatti, è un termine giapponese che unisce immagine e carattere. Proprio nelle terra del Sol Levante vedono ufficialmente la luce nel 1997 trasformando nel tempo i “freddi” caratteri ASCII in immagini molto più carine.
A volte basta completare una frase con una faccina che ride o una con un’espressione perplessa per dare al nostro interlocutore un messaggio più chiaro. C’è un’emoji per ogni sentimento e cosa presente sulla faccia della Terra. Difatti all’inizio si aveva una versione standard solo con l’emoji dell’uomo, mentre ora si hanno anche le donne. E da qualche tempo ormai sono customizzabili scegliendo il colore della pelle. Ci sono quelle femminili e maschili e rappresentano anche ogni tipo di coppia.
Negli ultimi anni le emoji sono state usate anche in maniera maliziosa. Pensate a tutto il repertorio di ortaggi e frutta utilizzati con scopi allusivi.
Ma con le emoji si fa anche politica. Il simbolo dell’anguria viene usato per aggirare i divieti sulla bandiera palestinese (hanno gli stessi colori) e dimostrare solidarietà a Gaza. Così come l’emoji della pesca, solitamente usata per rappresentare il sedere di una persona, indica ora il movimento di resistenza contro Donald Trump, partendo dal gioco di parole inglese peach e impeachment (la richiesta di rinvio a giudizio per importanti cariche dello Stato).