Shia LaBeouf è uno dei personaggi più controversi di Hollywood. Nel suo passato, infatti, ci sono degli eventi discutibili dal punto di vasta comportamentale e legale, che lo hanno portato a guadagnare le prime pagine dei media per ragioni tutt’altro che artistiche. Nel 2014, ad esempio, durante il Festival di Berlino, si presenta sul red carpet con in testa un sacchetto di carta con la scritta “I’m not famose anymore”. Prima di questo evento, poi si erano verificate delle stranezze anche durante l’incontro con la stampa. Una sorta di atteggiamento di protesta da parte dell’autore che, a suo dire, si sentiva troppo sotto pressione a causa di un’accusa di plagio rivolta ad un suo cortometraggio.
A questo, poi, si succedono anche delle denunce di violenza casalinga rivolte dalla musicista britannica FKA Twigs, con cui aveva avuto una relazione dopo essersi incontrati sul set di Honey Boy nel 2019. Queste vengono immediatamente rigettate dai legali dell’attore che, anni dopo, durante la sua partecipazione di un podcast, ammette di averla ferita trovandosi in periodo della sua vita particolarmente critico. Ad oggi, però, Shia LaBeouf sembra aver trovato la serenità al fianco di Mia Goth e nella vita spirituale. Da poco più di un anno, infatti, si è convertito al cattolicesimo e, forse, da questa nuova condizione interiore, deriva la decisione di essere Padre Pio nel film di Abel Ferrara.
Una famiglia disfunzionale
Shia LaBeouf rientra pienamente nel gruppo delle star di Hollywood che hanno iniziato il loro percorso in età adolescenziale reclutate da Disney Channel dove interpreta, con successo, Even Stevens. Al di là dei primi ricordi conoscimenti artistici, però, la vita di Shia non è, fino a quel momento, esattamente semplice. I suo genitori, infatti, sono quantomeno insoliti. Il padre è un ex clown professionista d’origini cajun, veterano della guerra del Vietnam. Sua madre, invece, un’artista visiva e disegnatrice di gioielli, oltreché ex ballerina. L’attore stesso, li ha definiti, nel corso degli anni, degli hippie che, pur amandolo, hanno imposto al figlio uno stile di vita piuttosto ortodosso.
In particolare a porre dei problemi è proprio il padre. Da questo, infatti, LaBeouf ricorda di aver subito delle violenze psicologiche, visto che arrivò addirittura a puntargli una pistola alla testa durante uno dei tanti raptus indotti dai traumatici ricordi della guerra. Per non parlare della sua dipendenza alla cocaina. Tutti elementi che, insieme alle difficoltà economiche, hanno portato i genitori a separarsi e Shia a vivere con la madre. Ovviamente un’infanzia del genere non poteva che ripercuotersi in qualche modo sulla psiche di un ragazzo che, nell’espressione artistica, trova un mondo dove rifugiarsi.
Il successo e la fama
All’inizio degli anni 200o Shia Lebeouf è considerato uno degli giovani attori più promettenti. A dimostrarlo sono i progetti in cui è coinvolto anche se, all’inizio, con parti secondarie: Io, Robot, Costantine, Bobby e Guida per riconoscere i tuoi santi. Nel 2007, poi, Spielberg lo sceglie come protagonista del suo Disturbia e, da quel momento, inizia una carriera che sembra destinata a non subire momenti di arresto. Ad arricchirla, infatti, arriva anche la benedizione di un Blockbuster come Transformers e, ovviamente, il quarto capitolo della saga di Indiana Jones, Il regno del teschio di cristallo. Per finire, poi, non può mancare il progetto d’autore. Si tratta di Nymphomaniac, diretto da Lars von Trier.
Proprio in questo momento, però, Shia LaBeouf inizia a mostrare dei comportamenti quanto meno bizzarri, culminato proprio con la scelta di celare il proprio volto durante il red carpet del film di von Trier e di lasciare la stampa basita con esternazioni apparentemente prive di senso. Ma vediamo cosa è accaduto più nel dettaglio.
Una maschera sul viso
Come anticipato è il 2014 e Berlino accoglie una delle pellicole più attese e, allo tesso tempo, controverse. Si tratta della prima parte di Nymphomaniac che si prepara a scandalizzare la platea per far parlare di sé. Tra i protagonisti del film c’è anche Shia LaBeouf che, durante la conferenza stampa di presentazione, si cela dietro un netto mutismo. Quando, alla fine, gli viene rivolta una domanda da un giornalista, risponde in questo modo: “Quando i gabbiani seguono un peschereccio, è perché sperano che qualcuno butti a mare delle sardine. Grazie a tutti“. Dopodiché si alza e lascia la sala.
Dopo questo evento, accolto come una bizzarria momentanea, l’attore si presenta sul red carpet serale con una busta in testa a celare il suo volto. Su questa campeggia la scritta “I am not famous anymore”, ossia “Non sono più famoso“. Ma cosa è accaduto per portare a questo tipo di reazione?
L’accusa di plagio
L’arcano viene svelato da chi, a suo tempo, ha avuto la pazienza di andare a cercare segnali tangibili sulla sui suoi social e, in articolare, su Twitter. Qui, infatti, viene ripetuta ogni giorno, in modo ossessivo, la frase pronunciata in conferenza stampa e attribuita a Cantona. Dopo di che, campeggiano altre dichiarazioni dal tono stentoreo, tra cui quella in cui afferma di volersi ritirare dalla vita pubblica.
Una decisione che, ovviamente, non coincide con tutta la visibilità dei suoi gesti e che è conseguenza di un’accusa di plagio rivolta all’attore nell’ultimo anno. Nel gennaio del 2013, infatti, esce il cortometraggio firmato da LaBeouf, Howard Cantour.com, e in molti si accorgono delle somiglianze tra il film e Justin M. Damiano, storia di Daniel Clowes tratta dal fumetto a cura di Zadie Smith, The Book of Other People del 2008.
Il cortometraggio, dunque, viene ritirato immediatamente. E l’attore inizia a dare vita ad una serie di “proclami” su Twitter sempre più sarcastici ed aggressivi proprio nei confronti di Clowe. Alcuni di questi dichiarano che copiare non è un lavoro creativo. Essere ispirati dall’idea di qualcun altro per produrre qualcosa di nuovo e diverso. Prendendo in prestito, anche in questo caso, il pensiero di qualcun altro, ossia Pablo Picasso.
Ma non finisce qui. Il 1 gennaio del 2014, infatti, l’attore affitta un aeroplano e fa scrivere sul cielo di Los Angeles: “I am sorry Daniel Clowes!”. Ovviamente si tratta di scuse finte e del tutto sarcastiche, cui seguono altri tentativi ironici e mal riusciti attraverso i social media. La reazione di Clowes, ovviamente, non si fa attendere. I suoi avvocati contattano quelli di Shia LaBeouf intimando l’attore a smettere, altrimenti sarebbero stati costretti ad intervenire per via legale. Nemmeno a dirlo, in poche ore la lettera viene pubblicata sua pagina Twitter dell’attore. Da quel momento, poi, inizieranno le follie successive, culminate al Festival di Berlino.