Trentadue anni fa, in Via d’Amelio a Palermo si consumava quella che, forse, può essere considerata come l’ultima strage di stampo mafioso. Il giudice Paolo Borsellino e la sua scorta, infatti, muoiono a causa di un’attentato che porta la firma di Totò Riina. Esattamente come accaduto solo due mesi prima a Giovanni Falcone sulla strada di Capaci.
Quel 19 luglio 1992, dunque, segna un momento di non ritorno per la città e per l’orgoglio dei suoi abitanti, stanchi div veder morire sotto i loro occhi persone dedite alla giustizia e disposte a mettere in pericolo le proprie vite per una società migliore. Come hanno fatto propri i cinque “ragazzi” di Borsellino che con il giudice hanno condiviso ideali, considerazioni, quotidianità e una fine tragica. Si tratta di Agostino Catalano, Walter Eddie Cosina, Emanuela Loi, Claudio Traina e Vincenzo Fabio Li Muli. Nomi che nella famiglia Borsellino hanno risuonato di familiarità e momenti di vita. A ricordarlo, a suo tempo, è stata proprio la signora Agnese, moglie di Paolo Borsellino, con queste parole:
Erano persone che facevano parte della nostra famiglia. Condividevamo le loro ansie e i loro progetti. Era un rapporto, oltre che di umanità e di amicizia, di rispetto per il loro servizio. Mio marito mi disse ‘quando decideranno di uccidermi i primi a morire saranno loro’, per evitare che ciò accadesse, spesso usciva da solo a comprare il giornale e le sigarette quasi a mandare un messaggio ai suoi carnefici perché lo uccidessero quando lui era solo e non in compagnia dei suoi angeli custodi
Nonostante l’evidenza del pericolo, però, nessuno di loro si è mai tirato indietro. Anzi, in molti, all’interno dell’arma, in quei giorni difficili hanno chiesto espressamente di far parte della scorta del giudice, consapevoli del rischio ma anche dell’importanza di quanto stava accadendo.
La scorta di Paolo Borsellino
Il giorno in cui Paolo Borsellino si reca da sua madre in Via d’Amelio è accompagnato da cinque agenti. Gli stessi con cui aveva condiviso, poche ore prima, una mattinata nella casa al mare, nuotando e mangiando. I loro nomi sono entrati, purtroppo, in una delle pagine più dolorose della storia contemporanea e, proprio per questo, vale la pena conoscerli meglio.
- Agostino Catalano aveva 43 anni ed era il capo scorta. La sua è una sorte particolare e beffarda. Quel giorno, infatti, non doveva essere presente visto che era in ferie. La scorta di Borsellino, però, si trovava con un elemento in meno e, proprio per questo motivo, viene richiamato in servizio. Quel giorno morirà insieme alla squadra lasciando tre figli e la seconda moglie, spossata solo un anno prima.
- Walter Eddie Cosina viene da lontano. Nonostante la sua famiglia sia italiana, infatti, nasce in Australia. La strada che lo porta a Palermo, dunque, è lunga. Dopo che i suoi genitori ritornano in Italia, entra nella Digos e prende servizio nel nucleo anti-sequestri a Trieste. Quando, però, dopo la strade di Capaci vengono richiesti agenti di scorta in tutto il paese, accetta di spostarsi a Palermo. Anche per lui il destino si rivela essere beffardo. Il 19 luglio 1992, infatti, non doveva essere in servizio ma accetta di sostituire un collega per farlo risposare.
- ClaudioTraina entra in polizia da giovanissimo. Dopo aver frequentato il corso di formazione presso la scuola di Polizia ad Alessandria, entra a far parte della squadra volanti a Milano per poi essere trasferito, su sua richiesta, a Palermo. E’ il 1990 quando decide di farsi assegnare all’ufficio scorte. Aveva solo 27 anni ed era sposato e padre di un bimbo di solo undici mesi.
- Emanuela Loi ha, a suo carico, un “primato” doloroso. Lei, infatti, è la prima donna poliziotto a morire in una strage di mafia. Dopo i fatti di Capaci, viene affidata al magistrato Paolo Borsellino. Aveva solo 24 anni e quel giorno terribile si spezzano definitivamente tutti i suoi sogni, tra cui quello di tornare nella sua Cagliari, dove aveva chiesto il trasferimento, e sposarsi con il suo fidanzato.
- Vincenzo Li Muli era il più giovane della squadra con i suoi 22 anni. Dopo la strage di Capaci, davanti alle immagini terribili dell’attentato, decide di volere combattere attivamente il sistema mafioso e si fa assegnare alla scorta del giudice Borsellino. Un sacrificio consapevole, il suo che, come quello dei suoi compagni era sostenuto da una convinzione immensa capace, forse, di dare alla loro morte un labile senso.
L’unico sopravvissuto
In quel giorno maledetto solo una persona è riuscita a sopravvivere. Si tratta dell’agente Antonino Vullo che, ancora oggi, porta sulle sue spalle il peso di chi, per una motivazione del tutto casuale, è vivo. Vullo, infatti, era al volante di una delle macchine e decide di fare manovra per essere pronti ad andare via. Uno spostamento, il suo, che vale la frazione di pochi secondi. Gli stessi, però, che gli permettono di allontanarsi dal centro dell’esplosione e di riuscire a sopravvivere, anche se con delle profonde ferite nel corpo e nell’anima. Strazianti le sue parole che ricordano quel momento.
Il giudice è sceso dalla macchina e si è acceso una sigaretta. I ragazzi si sono messi a ventaglio intorno a lui per proteggerlo, come sempre. Sono entrati nel portone, poi… sono uscito dall’auto distrutta. Ho camminato e camminato. Ero disperato, vagavo. Gridavo. Ho sentito qualcosa sotto la scarpa. Mi sono chinato. Era un pezzo di piede. Mi sono svegliato in ospedale. Ogni volta, quando cade l’anniversario, sto malissimo.