Lorenzo Biagiarelli, chef vegano e compagno di Selvaggia Lucarelli, ha affidato a un post sul suo profilo Facebook, un pensiero per la morte dello zio Roberto Bonetti. Imprenditore dolciario lombardo, fondatore della Witor’s di Cremona, Bonetti negli anni ’60 aveva dato nuovo lustro al boero, cioccolatino con dentro una ciliegia sotto spirito. Dal ricordo di Biagiarelli emerge la figura di un uomo buono che, a dispetto del lavoro che faceva, non era un golosone. E dopo gli inizi umili, è stato in grado di costruire un piccolo impero, che dal 2022 fa parte del gruppo Benetton, ora gestito dai figli, Michele e Rossano.
Ho conosciuto mio zio quando non era più goloso, e chissà poi se lo è mai stato. Non so, non gliel’ho mai chiesto. Abbiamo iniziato tardi, in famiglia, a festeggiare il Natale insieme, sicuramente dopo la prima pubblicazione del China Study, che è da subito diventata la Bibbia per lui. Mangiava come un uccellino, riempiva il piatto a tutti ma a sé molto meno, benché il pranzo del 25 fosse l’unico strappo alla regola. Una volta venne a sentirmi suonare, gli riempii un po’ troppe volte il bicchiere, quella sera ridemmo come i matti, dopodiché non bevve più. Mi sembra che abbia sempre applicato al cibo la stessa morigeratezza che aveva nella vita, quella che gli valse il soprannome di Zio Paperone, da me che ero suo nipote. Gli somigliava in tutto: imprenditore di successo, un’azienda storica e florida, persino la sua numero uno, quel cioccolatino con dentro la ciliegia che aveva inventato nel 1959, il boero.
E allo stesso tempo guidava vecchia fiat, poi una Picanto un po’ incidentata, aveva un soprabito sempre un po’ liso, un berretto con trama scozzese e anche i capelli, candidi e vaporosi, gli cadevano un po’ davanti alle orecchie come le basette del più ricco dei Paperi. Una volta pioveva e mi passò a prendere, nel baule aveva qualche decina di ombrelli, c’era da andarli a vendere davanti al cimitero. Quella fu la volta in cui capii che mio zio non era appassionato di denaro, ma era appassionato di lavoro, gli brillavano gli occhi, potevi vederci la vita scorrere dentro. La verità è che so poco di mio zio e quel poco che so è sfumato come una leggenda, avrei voluto vederlo tirare il suo carretto della biancheria da ambulante, insieme a mia nonna, appena dopo la guerra, poco più che bambini.
Avrei voluto vederlo vendere meringhe cotte nel forno della caserma, quasi di contrabbando, per mettere insieme il primo gruzzolo già durante la leva, avrei voluto vederlo in Brasile nelle piantagioni di cacao, o quella volta alla fiera di Canton. Non posso più chiedere nulla a mio zio perché è mancato ieri, a novantaquattro anni, morto forse di sfortuna. Ma almeno, così, posso continuare a immaginare la sua vita come l’avventura incredibile di un uomo straordinario. Lo fu.
Da un piccolo laboratorio artigianale a Cremona, Bonetti arrivò al mondo. Grazie alla costruzione di una fabbrica, a Corte de’ Frati, nel cremonese, che automatizzò la produzione di dolci a base di cioccolato. Bonetti era ricoverato da tempo e lascia la moglie Fausta e i figli Sabrina, Michele e Rossano.
Nel messaggio Biagiarelli fa riferimento al libro The China Study del biochimico e nutrizionista americano T. Colin Campbell. Si tratta di un testo molto noto, pubblicato nel 2005, che esamina la relazione tra alimentazione e salute. Diventato un punto di riferimento per i vegani.