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Home » Cultura » Cosa vuol dire Peanuts e perché si chiamano così le creature di Schulz

Cosa vuol dire Peanuts e perché si chiamano così le creature di Schulz

I Peanuts fanno parte della cultura popolare di diverse generazioni ma Schulz non ha mai amato il nome, considerandolo ridicolo.
Tiziana MorgantiDi Tiziana Morganti2 Ottobre 2024Aggiornato:2 Ottobre 2024
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I Peanuts
I Peanuts (fonte: Artribune)
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Nella traduzione letteraria Peanuts vuol dire semplicemente “noccioline”. Peanuts, però, in gergo teatrale, è anche la sezione che rappresenta i posti più a buon mercato, in particolare destinati ai bambini. Ed è sinonimo di bazzecole. Partendo da questo, dunque, sorge spontaneo chiedersi per quale motivo è stata chiamata in questo modo la striscia fumettistica disegnata da Schulz dal 2 ottobre 1950, fino al giorno della sua morte, avvenuta il 13 febbraio 2000. La risposta ha una natura puramente pratica e risponde ad una necessità editoriale per diversificarsi da un un altro prodotto che, però, non ha mai soddisfatto l’autore. Tutto ha origine ai tempi di Li’l Folks, il primo fumetto pubblicato proprio dal papà di Charlie Brown sul giornale della sua città natale, il “St. Paul Pioneer Press” di Minneapolis, alla fine degli anni quaranta.

Tutta la banda dei peanuts con Charlie Brown, Lucy e Snoopy
Tutta la banda dei Peanuts con Charlie Brown, Lucy e Snoopy – Fonte: Biografieonline.it

Quando Schulz viene ingaggiato dalla United Features Syndicate, gli viene chiesto di cambiare il nome della sua striscia perché richiama troppo quello di un altro fumetto già esistente di grande successo. Si trattava di Li’l Abner di Al Capp. Fino a qui nulla di insolito se non fosse che il nome Peanuts, scelto da Bill Anderson, direttore della produzione presso la United Features Syndicate, non è mai piaciuto all’autore. Anzi, trovandolo fortemente ridicolo ed assolutamente non in linea con la natura della sua creatura, ha sempre cercato modi alternativi per evitarlo in relazione alle sue pubblicazioni. In sostanza, al posto di Peanuts avrebbe preferito qualsiasi altra parola. E non ne ha mai fatto un mistero, come dimostra questa sua dichiarazione.

Non mi piace nemmeno la parola. Non è una bella parola. È totalmente ridicola, non ha nessun significato, genera semplicemente confusione e non ha dignità. E io penso che il mio umorismo abbia dignità.

Per questo motivo, dunque, in alcune occasioni in cui ha avuto la possibilità di un controllo maggiore, il fumettista ha cercato di presentare il suo lavoro in modo diverso. Un esempio calzante è la vignetta di apertura della tavola domenicale negli anni sessanta, chiamata Peanuts, featuring good ol’ Charlie Brown e gli speciali televisivi A Charlie Brown Christmas e It’s the Easter Beagle, Charlie Brown.

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