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Home » Lifestyle » Essere gentili rende davvero più felici? Ecco cosa dice la ricerca (ed è bellissimo)

Essere gentili rende davvero più felici? Ecco cosa dice la ricerca (ed è bellissimo)

La scienza parla chiaro: la gentilezza non solo rende il mondo un posto migliore, ma ci rende anche più felici e in salute.
Francesca FiorentinoDi Francesca Fiorentino11 Febbraio 2025
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un cartello con la scritta Be Kind Sii gentile
un cartello con la scritta Be Kind, Sii gentile (fonte: Unsplash)
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È meglio dare che ricevere: questa massima popolare trova conferma nella scienza. Numerosi studi dimostrano che la gentilezza non è solo un valore morale, ma ha effetti tangibili sul benessere psicologico e fisico. Essere gentili può ridurre lo stress, migliorare l’autostima e persino allungare la vita. Tuttavia, a fare la differenza è anche il modo in cui si pratica la gentilezza. Piccoli gesti spontanei sembrano avere un impatto più positivo rispetto alle azioni organizzate, e alcune categorie di persone ne traggono maggior vantaggio.

Essere gentili significa scegliere consapevolmente di aiutare gli altri con azioni motivate da sentimenti autentici. Può trattarsi di un piccolo gesto come cedere il posto su un autobus o aiutare un collega con un compito difficile. Gli studi dimostrano che questi atti migliorano l’umore, aumentano l’autostima e riducono lo stress. Inoltre, le persone che praticano la gentilezza regolarmente tendono a vivere più a lungo e a sviluppare relazioni sociali più solide.

una scritta che recita fa che le persone oggi si sentano amate
una scritta che recita “Fa che le persone oggi si sentano amate” (fonte: Unsplash)

Uno studio basato su 126 ricerche condotte su circa 200.000 persone in tutto il mondo ha confermato che chi è gentile tende a sperimentare una maggiore soddisfazione nella vita. Tuttavia, l’effetto non è sempre forte: varia in base al tipo di gentilezza esercitata e alla persona che la pratica. Gli atti di gentilezza informali, come aiutare un amico in difficoltà o offrire un caffè a un collega, portano più felicità rispetto a quelli formali, come il volontariato strutturato. Ciò potrebbe dipendere dal fatto che i gesti spontanei soddisfano bisogni psicologici fondamentali come l’autonomia e la connessione con gli altri.

La gentilezza è anche strettamente legata alla felicità eudaimonica, ovvero quella derivante da un senso di scopo e realizzazione, più che alla felicità edonistica, legata al piacere immediato. Questo potrebbe spiegare perché alcune persone, pur non trovando immediata gratificazione nel compiere atti gentili, provano un senso di benessere più duraturo.

La ricerca mostra inoltre che le donne e i giovani adulti traggono più benefici emotivi dalla gentilezza rispetto agli uomini e alle persone più anziane. Le donne, probabilmente perché socialmente incoraggiate ad essere più empatiche, tendono a percepire maggiore soddisfazione nel prendersi cura degli altri. I giovani adulti, invece, sono in una fase di crescita personale in cui atti di altruismo possono rafforzare la loro identità e il senso di appartenenza.

Oltre agli effetti psicologici, la gentilezza porta anche benefici fisici. Chi aiuta gli altri mostra livelli più bassi di ansia e depressione e, con l’avanzare dell’età, questo comportamento sembra favorire la salute cardiovascolare e il benessere generale.

Infine, praticare la gentilezza può innescare un effetto domino. Gli atti gentili tendono a essere reciprocati, creando una spirale positiva che rafforza le relazioni sociali e migliora il clima delle comunità. Piccoli gesti quotidiani, come sorridere a un estraneo o ringraziare un collega, possono sembrare insignificanti, ma hanno un impatto duraturo sulla nostra percezione della vita e delle relazioni.

Possiamo provare, allora, a compiere almeno un atto gentile al giorno, coltivare la gratitudine, evitare il giudizio severo verso sé e gli altri e praticare l’ascolto attivo nelle interazioni quotidiane. L’importante è che la gentilezza sia autentica e bilanciata, senza sacrificare il proprio benessere per quello altrui.

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