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Home » Cultura » Storia » Selma e le marce per la libertà: perché furono un momento chiave della storia americana?

Selma e le marce per la libertà: perché furono un momento chiave della storia americana?

Le marce di Selma del 1965 furono un momento cruciale del movimento per i diritti civili negli Stati Uniti.
Francesca FiorentinoDi Francesca Fiorentino21 Marzo 2025
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Nel 1965, la città di Selma, in Alabama, divenne l’epicentro della lotta per i diritti civili che avrebbe cambiato per sempre il volto dell’America. Tre marce, che sarebbero poi culminate in quella da Selma a Montgomery, accelerarono l’approvazione del Voting Rights Act del 1965. La lotta per il diritto di voto, negato ai cittadini afroamericani attraverso le leggi Jim Crow, raggiunse quindi  il suo apice, mostrando al mondo la brutalità del razzismo sistemico e la determinazione di un popolo a ottenere giustizia.

La Dallas County Voters League (DCVL), guidata dagli “Otto Coraggiosi”, fu tra le prime organizzazioni a lottare per i diritti di voto in Alabama. Nel 1965, la Southern Christian Leadership Conference (SCLC) e lo Student Nonviolent Coordinating Committee (SNCC) si unirono alla DCVL per intensificare la campagna. Il 18 febbraio 1965, una marcia pacifica guidata dal reverendo C.T. Vivian a Marion, Alabama, per protestare contro l’arresto di James Orange, membro della DCVL, fu interrotta dalla violenza dei poliziotti di stato, che uccisero Jimmie Lee Jackson. La morte di Jackson spinse James Bevel della SCLC a organizzare una marcia da Selma a Montgomery per parlare con il governatore George Wallace.

La marcia a Selma
La marcia a Selma (fonte: Britannica)

La prima marcia, il 7 marzo, guidata da John Lewis della SNCC e Hosea Williams della SCLC, fu brutalmente interrotta al ponte Edmund Pettus, dove i manifestanti furono attaccati con manganelli e gas lacrimogeni. Amelia Boynton fu picchiata a morte e John Lewis subì una frattura del cranio. Quel giorno, noto come “Bloody Sunday“, scosse la nazione attraverso le immagini televisive. Martin Luther King Jr., che era ad Atlanta, inviò telegrammi e dichiarazioni pubbliche invitando leader religiosi da tutto il paese a unirsi alla marcia.

Il 9 marzo, King guidò una seconda marcia, ma si fermò al ponte Edmund Pettus, dove i manifestanti pregarono e tornarono indietro. Questa decisione, presa dopo consultazioni con il Dipartimento di Giustizia e sotto pressione del presidente Johnson, evitò un’ulteriore violenza. Quella sera, il reverendo James Reeb, un ministro unitario bianco venuto dal Massachusetts, fu attaccato dal Ku Klux Klan e morì due giorni dopo. Il presidente Johnson, in un discorso televisivo al Congresso il 15 marzo, espresse solidarietà con i manifestanti di Selma, dichiarando: “La loro causa deve essere anche la nostra causa“.

Il 21 marzo, la terza marcia, autorizzata dal tribunale federale, partì da Selma. Protetti dalla Guardia Nazionale dell’Alabama e dall’FBI, i manifestanti marciarono per cinque giorni, arrivando al Campidoglio di Montgomery il 25 marzo. Durante la marcia, furono intrattenuti da celebrità come Harry Belafonte e Lena Horne. Durante l’ultimo raduno, King pronunciò la celebre frase:

“La sola normalità di cui noi ci accontenteremo è la normalità della fratellanza, la normalità della pace vera, la normalità della giustizia“.

Quella sera, Viola Liuzzo, una casalinga del Michigan venuta in Alabama per aiutare, fu uccisa dal Ku Klux Klan.

Il 6 agosto 1965, il presidente Johnson firmò il Voting Rights Act, ricordando “l’oltraggio di Selma”. La legge, frutto del coraggio dei manifestanti e della pressione nazionale, segnò una vittoria fondamentale nella lotta per i diritti civili.

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