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Home » Cultura » Storia » Richard Jewell di Clint Eastwood e la vera storia che lo ha ispirato

Richard Jewell di Clint Eastwood e la vera storia che lo ha ispirato

Richard Jewell era un addetto alla sicurezza che scoprì una bomba durante le Olimpiadi di Atlanta del 1996, salvando molte vite.
Francesca FiorentinoDi Francesca Fiorentino28 Marzo 2025
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Richard Jewell
Richard Jewell (fonte: The New York Times)
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Il 27 luglio 1996 Richard Jewell scoprì uno zaino sospetto durante le Olimpiadi di Atlanta e contribuì a salvare decine di vite. Ma in pochi giorni, il suo nome divenne sinonimo di sospetto. L’FBI e i media lo trasformarono nell’uomo più odiato d’America, alimentando un caso mediatico senza precedenti che ha ispirato Clint Eastwood per l’omonimo film del 2019. Come si arrivò a questo errore giudiziario? E quali furono le conseguenze sulla sua vita?

Richard Jewell, nato nel 1962, sognava di lavorare nelle forze dell’ordine. Dopo una carriera segnata da episodi controversi, nel 1996 trovò impiego come addetto alla sicurezza alle Olimpiadi di Atlanta. Durante il suo turno al Centennial Olympic Park, notò uno zaino abbandonato e allertò le autorità. La sua prontezza evitò una strage: la bomba esplose prima che il luogo fosse completamente evacuato, uccidendo una persona e ferendone più di cento.

Per poche ore, Jewell fu celebrato come un eroe. Tuttavia, la sua eccessiva dedizione al lavoro e un passato costellato da episodi di zelo eccessivo insospettirono le autorità. L’FBI, pressata dalla necessità di trovare rapidamente un colpevole, lo indicò come sospettato principale. Il 30 luglio, agenti federali si presentarono alla sua porta con la scusa di girare un “video di addestramento”, tentando di fargli firmare una confessione registrata. Jewell si insospettì e rifiutò di collaborare.

Nel frattempo, il quotidiano The Atlanta Journal-Constitution pubblicò un articolo con il titolo “L’FBI sospetta che l’eroe sia in realtà il colpevole”. La notizia scatenò un assalto mediatico. Jewell fu dipinto come un uomo frustrato, desideroso di attenzioni e disposto a inscenare un attentato per ottenere notorietà. I giornalisti si accamparono fuori dalla sua abitazione, le sue abitudini furono analizzate al microscopio e il pubblico lo condannò senza prove.

Sottoposto a sorveglianza continua e a perquisizioni invasive, Jewell e sua madre Bobi vissero settimane di angoscia. La pressione mediatica fu tale che l’FBI non riuscì mai a trovare alcuna prova contro di lui. Solo dopo 88 giorni, il governo annunciò ufficialmente che non era più un sospettato. Ma il danno era già stato fatto: la sua reputazione era irrimediabilmente compromessa.

Jewell intraprese una battaglia legale contro diversi media, ottenendo risarcimenti da CNN e NBC, ma non dal The Atlanta Journal-Constitution, che difese la correttezza del proprio operato. Nel frattempo, il vero attentatore, Eric Robert Rudolph, continuava a colpire, piazzando bombe in cliniche abortiste e nightclub LGBTQ+. Fu catturato solo nel 2003 e condannato all’ergastolo nel 2005.

Nonostante l’assoluzione, Jewell non riuscì mai a scrollarsi di dosso l’etichetta di sospetto. Tornò a lavorare nelle forze dell’ordine, sposò una donna di nome Dana e ricevette un riconoscimento dal governatore della Georgia per il suo eroismo. Tuttavia, le sofferenze subite lasciarono un segno indelebile sulla sua salute. Nel 2007, a soli 44 anni, morì per complicazioni legate al diabete.

 

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