Sono passati esattamente 44 anni da quel 13 maggio 1981 in cui il killer di professione turco Ali Ağca sparò 2 colpi di pistola contro papa Giovanni Paolo II nel tentativo di ucciderlo, circondato dalla folla di piazza San Pietro. L’attentato fallì, nonostante il Pontefice avesse ricevuto delle gravi ferite all’addome, e l’aggressore fu immediatamente arrestato. Ma cosa ne è stato di lui?
Nato il 9 gennaio 1958 a Hekimhan, in Turchia, Mehmet Ali Ağca cresce in un contesto di tensioni politiche e sociali; negli anni ’70 si unisce ai Lupi Grigi, un’organizzazione di estrema destra nota per la sua brutalità. Il 1° febbraio 1979, Ağca è coinvolto nell’assassinio di Abdi İpekçi, direttore del quotidiano liberale Milliyet, una voce scomoda per il regime. Condannato all’ergastolo, il giovane terrorista dimostra un’astuzia sorprendente: il 25 novembre 1979 evade dal carcere di massima sicurezza di Kartal Maltepe, sparendo nel nulla. Da quel momento Ağca diventa una minaccia internazionale; le sue prime lettere minatorie prendono di mira papa Giovanni Paolo II, simbolo di un Occidente che i Lupi Grigi considerano nemico.
Il 13 maggio 1981, alle 17:17, due colpi di pistola riecheggiano in piazza San Pietro; il papa si accascia, gravemente ferito. L’attentatore,, che è proprio Ağca, cerca di fuggire tra il colonnato ma viene bloccato dalla folla e dalla polizia; Wojtyła, trasportato d’urgenza al Gemelli, sopravvive dopo ore di interventi chirurgici. Durante il processo, iniziato l’8 luglio 1981, il terrorista sostiene di aver agito da solo, spinto da una presunta schizofrenia e dal desiderio di diventare un “eroe” musulmano. Ma la corte non ci crede: il 22 luglio Ağca è condannato all’ergastolo per tentato omicidio di un capo di Stato straniero.

Negli anni successivi Ağca cambia versione più volte, alimentando teorie complottiste: nel 1982 tira in ballo la “pista bulgara“, accusando il KDS, il servizio segreto bulgaro, di aver orchestrato l’attentato per conto del KGB. Parla di un complice, Oral Çelik, pronto a intervenire in caso di fallimento; ma le indagini non trovano prove concrete, e la tesi del complotto bulgaro, smentita anche dal leader Todor Živkov, si sgretola. Il 27 dicembre 1983 Giovanni Paolo II visita Ağca nel carcere di Rebibbia: i due parlano per 22 minuti, da soli. Il contenuto della loro conversazione resta un segreto, ma il papa emerge con un messaggio di riconciliazione: “Ho pregato per il mio fratello che mi ha ferito, e gli ho sinceramente perdonato”.
Grazie alla buona condotta, Ağca ottiene riduzioni di pena: 720 giorni nel 1989, 405 nel 1994, 180 nel 1995. Nel 1987 la madre e il fratello incontrano il papa, chiedendo clemenza. Nel 2000, dopo 19 anni di carcere, il presidente italiano Ciampi concede la grazia, con il placet della Santa Sede. Ağca viene estradato in Turchia, dove deve scontare il resto della pena per l’omicidio di İpekçi. Scarcerato il 12 gennaio 2006 dal carcere di Kartal, Ağca scompare per giorni, evitando la questura. Tuttavia la Corte suprema turca, accortasi di un errore nel calcolo della pena, ordina il suo ritorno in carcere dopo appena 9 giorni. È solo il 18 gennaio 2010 che Ağca, ormai 52enne, lascia definitivamente il carcere di Sincan, ad Ankara. Le sue prime parole sono sconcertanti: si proclama il Cristo, annuncia di voler riscrivere la Bibbia e prevede l’apocalisse.
Negli anni successivi Ağca non smette di far parlare di sé: nel 2010, incontra Pietro Orlandi, fratello di Emanuela, la ragazza scomparsa nel 1983, sostenendo che sia viva e promettendo di liberarla; nessun fatto segue le sue parole. Nel 2013 pubblica la sua autobiografia, Mi avevano promesso il Paradiso, in cui accusa l’ayatollah Khomeyni di avergli ordinato l’attentato, dipingendo un improbabile scenario in cui un leader sciita comanda un sunnita come lui. Gli esperti liquidano la tesi come un’altra delle sue fantasie. Nel 2014 Ağca torna in Italia per deporre fiori sulla tomba di Giovanni Paolo II, ma il suo passaporto irregolare e il divieto di ingresso nell’area Schengen lo fanno espellere. Nel 2022 scrive alla famiglia Orlandi, sostenendo che Emanuela sia in un’istituzione religiosa e che lo stesso Wojtyła fosse il mandante del suo rapimento. Si tratta di parole che, ancora una volta, non trovano riscontri.
Le sue ultime notizie risalgono a qualche settimana fa, quando Ağca pubblica un video in cui chiede di partecipare personalmente ai funerali di Papa Francesco, esprimendo anche cordoglio per la sua morte. La richiesta suscita ovviamente scalpore, ma alla fine egli decide di non presentarsi: il suo procuratore sostiene che lo abbia fatto per rispetto, non avendo ricevuto risposta ufficiale da parte dello Stato italiano, e che intenda recarsi alla sua tomba in un secondo momento, quando la sua presenza “non potrà essere strumentalizzata”.