Il termine “Vespasiano” è comunemente associato ai bagni pubblici, ma pochi conoscono l’origine di questa denominazione, legata all’imperatore romano Tito Flavio Vespasiano e a una tassa tanto curiosa quanto innovativa. Tito Flavio Vespasiano, imperatore di Roma dal 69 al 79 d.C., è noto per aver riportato stabilità all’Impero dopo un periodo di crisi. Tra le sue iniziative per risanare le casse statali, introdusse una tassa sulla raccolta dell’urina, un bene prezioso nell’antica Roma. L’urina veniva utilizzata dai conciatori per trattare le pelli e dai lavandai per sbiancare le toghe, grazie al suo contenuto di ammoniaca.
I “fullones”, lavoratori delle lavanderie romane, raccoglievano l’urina dai contenitori pubblici posizionati lungo le strade, pagando una tassa per questo privilegio. Quando il figlio di Vespasiano, Tito, criticò l’idea definendola poco nobile, l’imperatore rispose con la celebre frase “Pecunia non olet” (“Il denaro non puzza”), sottolineando che i proventi, indipendentemente dalla loro origine, erano utili per il bene comune. Questa massima, ancora oggi utilizzata, evidenzia il pragmatismo di Vespasiano.
Il collegamento tra Vespasiano e i bagni pubblici moderni risale però a un’epoca successiva. Nel XIX secolo, in Italia, si diffusero i primi servizi igienici pubblici nelle città, spesso chiamati “vespasiani” in onore dell’imperatore, per via della sua tassa sull’urina.
Questi bagni, inizialmente semplici strutture cilindriche in metallo, erano un richiamo ironico ma diretto alla gestione romana delle risorse, anche quelle meno convenzionali. La scelta del nome rifletteva un misto di umorismo e riconoscimento storico, poiché Vespasiano aveva saputo trasformare un bisogno quotidiano in una fonte di reddito per lo Stato.
Ancora oggi, il termine “vespasiano” è usato in Italia per indicare i bagni pubblici, sebbene il suo utilizzo sia meno comune rispetto al passato.