In Italia, dove la pasta è regina della tavola, ha iniziato a circolare tra riviste scientifiche e appassionati di cucina un’idea a dir poco rivoluzionaria: la pasta riscaldata potrebbe essere un alleato per chi cerca di controllare il proprio peso. Alla base di questa teoria vi è il concetto di “amido resistente”, che trasforma un piatto di spaghetti avanzato in una scelta sorprendentemente più leggera. Questo processo, studiato da nutrizionisti e ricercatori, svela come un gesto semplice come far raffreddare e riscaldare la pasta possa cambiare il modo in cui il nostro corpo la metabolizza, offrendo benefici che vanno ben oltre il gusto.
La chiave di questo fenomeno risiede nell’amido, il principale carboidrato contenuto nella pasta, che fornisce energia ma può influire sulla glicemia e sull’accumulo di calorie. Quando la pasta viene cotta e poi raffreddata, parte dell’amido subisce un processo chiamato retrogradazione: le molecole di amido si riorganizzano in una struttura più compatta, formando l’amido resistente, una sorta di fibra che il nostro intestino non digerisce completamente. Questo cambiamento riduce l’assorbimento delle calorie e l’impatto sulla glicemia, rendendo la pasta riscaldata meno “pesante” rispetto a quella appena scolata.
Il processo è semplice: dopo la cottura, la pasta va lasciata raffreddare, preferibilmente in frigorifero, per alcune ore e poi riscaldata, magari al microonde o in padella. Questo ciclo di raffreddamento e riscaldamento aumenta la quantità di amido resistente, che può rappresentare fino al 5-10% del contenuto totale di amido.

L’amido resistente non influisce solo sull’assunzione di calorie: poiché non viene completamente digerito, esso agisce come una fibra alimentare, favorendo la salute intestinale e nutrendo i batteri benefici del microbiota. Inoltre la pasta raffreddata e riscaldata ha un indice glicemico più basso, il che significa che provoca un aumento più graduale della glicemia rispetto alla pasta fresca. Questo è particolarmente utile per chi ha problemi di controllo degli zuccheri nel sangue, come i diabetici, o per chi segue una dieta ipocalorica. Secondo numerose fonti, la riduzione delle calorie assorbite può arrivare fino al 50% in alcuni casi, anche se il risparmio effettivo dipende dalla quantità di pasta consumata e dal condimento utilizzato.
E non finisce qui: l’amido resistente contribuisce a un maggiore senso di sazietà, aiutando a ridurre l’appetito nelle ore successive al pasto. Questo rende la pasta riscaldata un’opzione strategica per chi vuole godersi un piatto tradizionale senza troppi sensi di colpa.
Va detto tuttavia che, nonostante i benefici, la pasta riscaldata non è una bacchetta magica: il risparmio calorico, pur significativo, non trasforma un piatto di carbonara in un’insalata. Il condimento gioca infatti un ruolo cruciale: una pasta riscaldata con sughi pesanti o ricchi di grassi può annullare i vantaggi dell’amido resistente. Inoltre il processo di retrogradazione non si applica allo stesso modo a tutti i tipi di pasta: la pasta integrale, già ricca di fibre, beneficia meno di questo effetto rispetto alla pasta di grano duro raffinato. Infine, il sapore e la consistenza della pasta riscaldata possono non piacere a tutti, anche se molti trovano che un piatto di spaghetti riscaldato in padella con un filo d’olio acquisti un gusto unico.