La Procura di Milano ha chiesto l’amministrazione giudiziaria per Tod’s spa, il prestigioso marchio di calzature e pelletteria di lusso guidato da Diego e Andrea Della Valle. L’accusa è di aver agevolato colposamente un pesante sfruttamento lavorativo lungo la propria filiera produttiva. La richiesta del pubblico ministero Paolo Storari è ora al vaglio della Corte di Cassazione, che ha fissato un’udienza decisiva per il 19 novembre 2025.
Il caso rappresenta un nuovo capitolo nelle inchieste sul caporalato negli opifici cinesi che operano per i grandi marchi del lusso italiano (come si vede in Gomorra di Matteo Garrone, per capirci). Tod’s si aggiunge così alla lista di altri cinque importanti brand della moda finiti sotto la lente della magistratura milanese, tra cui Loro Piana, controllata dalla famiglia Arnault, una delle dieci più ricche al mondo.
Secondo le indagini condotte dai carabinieri del Nucleo Ispettorato del Lavoro di Milano tra novembre 2024 e febbraio 2025, in due fornitori cinesi di Tod’s situati nelle Marche sono emerse violazioni conclamate delle norme sul lavoro. Si tratta degli opifici “Wang Junii” a Monte San Giusto, in provincia di Macerata, e “Lucy srls” a Torre San Patrizio, nel Fermano, dove venivano lavorate parti di calzature destinate alla vendita al pubblico.
Le condizioni di lavoro riscontrate dagli investigatori descrivono uno scenario di grave sfruttamento: cittadini stranieri lavoravano di fatto a cottimo, anche durante le ore notturne, con paghe che oscillavano tra i 4,5 e i 4,8 euro l’ora, meno della metà di quanto previsto dal contratto nazionale. Gli ambienti di lavoro sono stati definiti malsani e i macchinari risultavano privi dei dispositivi di sicurezza obbligatori.
La Procura sottolinea che Tod’s era a conoscenza delle criticità: funzionari della società si recavano periodicamente presso questi laboratori e dagli audit interni emergevano contestazioni di violazioni delle norme, con conseguenti raccomandazioni. Tuttavia, secondo l’accusa, queste raccomandazioni sono rimaste lettera morta nella quotidianità operativa di quei laboratori.

Tod’s, pur non essendo formalmente indagata, risponde in base all’articolo 34 del codice antimafia, che riguarda le carenze organizzative e i mancati controlli che agevolano colposamente appaltatori e subappaltatori gravemente indiziati di caporalato. Il gruppo ha replicato alle accuse affermando di operare sempre nel rispetto delle leggi sul lavoro, di effettuare controlli costanti sui fornitori e che tutti i subappaltatori firmano accordi con cui si impegnano a rispettare le condizioni di lavoro previste dai contratti nazionali.
Il coinvolgimento di Tod’s nelle inchieste sul caporalato era già emerso a luglio 2025 nell’indagine che aveva portato all’amministrazione giudiziaria del marchio Loro Piana. Nel board di Tod’s siedono figure di rilievo del mondo economico italiano come Luca Cordero di Montezemolo e Luigi Abete.
La vicenda giudiziaria si è complicata per una questione di competenza territoriale. La Sezione Misure di Prevenzione del Tribunale di Milano ha riconosciuto l’esistenza di profili di agevolazione colposa da parte di Tod’s, ma ha ritenuto che gli atti debbano essere trasmessi al Tribunale di Ancona. La motivazione risiede nel fatto che i fatti di agevolazione colposa del caporalato si sono manifestati nel territorio marchigiano, dove peraltro Tod’s ha anche sede legale a Sant’Elpidio a Mare.
Il pm Paolo Storari ha contestato questa interpretazione definendola “francamente incomprensibile” nel ricorso presentato in Cassazione. Secondo il pubblico ministero, per determinare la competenza territoriale conta il luogo di manifestazione esteriore della pericolosità soggettiva, e poiché uno dei reati di caporalato è stato consumato a Baranzate e Vigevano, in territorio milanese, la competenza dovrebbe rimanere a Milano.
Le indagini hanno infatti individuato ulteriori criticità anche in altri opifici cinesi operanti nel territorio milanese: la “Zen confezioni srl” a Baranzate e l’impresa individuale “Li Qingdong”, entrambe subfornitrici nella catena di appalto di Tod’s. Qui si realizzavano le divise da lavoro di Tod’s.
I giudici di primo grado hanno operato una distinzione tra i due tipi di lavorazione: per le calzature destinate al mercato, che caratterizzano il brand e la sua immagine internazionale, il livello di controllo nella filiera produttiva deve essere più capillare. Per le divise ad uso interno, invece, Tod’s rivestirebbe le caratteristiche di un semplice cliente che richiede una fornitura per lo svolgimento della propria attività.
Il pm Storari ha però definito questa distinzione “una sorta di distinzione tra caporalato consentito e non consentito che è fuori dal sistema”. Secondo la Procura, l’articolo 34 del decreto legislativo 159/2011, quando censura l’attività di agevolazione di soggetti indagati per caporalato, non si preoccupa della tipologia di prodotto realizzato in condizioni di sfruttamento.
Anche la Corte d’Appello di Milano ha respinto l’impugnazione del pm, ma con una motivazione diversa. I giudici di secondo grado hanno valorizzato il fatto che gli opifici milanesi fossero subfornitori di secondo livello nella catena dell’appalto, ritenendo che la responsabilità nel controllo non fosse direttamente esigibile nei confronti di Tod’s. Il pubblico ministero ha replicato che l’omissione di controllo da parte di Tod’s nei confronti dei propri subfornitori in situazioni di pesante sfruttamento integra quella violazione cautelare che concretizza la colpa di organizzazione.
La decisione della Cassazione del 19 novembre sarà determinante per stabilire quale autorità giudiziaria dovrà valutare il caso e, di conseguenza, se accogliere o meno la richiesta di amministrazione giudiziaria. Questa misura di prevenzione, se applicata, comporterebbe la nomina di un amministratore esterno con il compito di interrompere le condotte di agevolazione dello sfruttamento e implementare sistemi di controllo più efficaci lungo tutta la filiera produttiva.