Quando si parla di insonnia, molti pensano immediatamente alla classica scena di chi si rigira nel letto per ore senza riuscire a prendere sonno. Ma la realtà di questo disturbo è molto più articolata e sfaccettata di quanto si possa immaginare. Secondo l’American Academy of Sleep Medicine, oltre il 30 percento degli adulti ha sperimentato l’insonnia in qualche forma, eppure pochi conoscono davvero le sue molteplici manifestazioni, cause e possibili soluzioni.
L’insonnia non è un disturbo monolitico, ma si presenta in forme diverse che richiedono approcci differenziati.
La difficoltà ad addormentarsi all’inizio della notte, quella che tutti conosciamo, si chiama tecnicamente insonnia da difficoltà di addormentamento. È probabilmente la forma più famosa, ma non l’unica. Esiste infatti l’insonnia da mantenimento del sonno, che colpisce chi riesce ad addormentarsi ma si sveglia ripetutamente durante la notte senza riuscire a riaddormentarsi facilmente.
C’è poi l’insonnia da risveglio precoce mattutino, che affligge chi si sveglia molto prima del necessario e non riesce più a riprendere sonno.
L’insonnia può essere catalogata anche in base alla sua durata. Si parla di insonnia cronica quando i problemi di sonno si verificano almeno tre notti alla settimana per un periodo di tre mesi o più. Tutto ciò che dura meno viene generalmente considerato insonnia acuta, anche detta insonnia a breve termine o insonnia da adattamento, spesso legata a eventi stressanti temporanei.
I sintomi dell’insonnia vanno ben oltre la semplice stanchezza. Chi ne soffre deve fare i conti con conseguenze che si ripercuotono su tutta la giornata. Le persone con insonnia possono sperimentare irritabilità, depressione o ansia, difficoltà a concentrarsi, prestare attenzione o ricordare, un aumento di errori o incidenti, e preoccupazioni costanti riguardo al sonno stesso. La sonnolenza diurna è solo la punta dell’iceberg di un disturbo che può compromettere seriamente la qualità della vita.
Molte cause dell’insonnia sono legate alle nostre abitudini quotidiane. Consumare bevande contenenti caffeina troppo tardi nel corso della giornata, fissare lo schermo del telefono o del computer mentre si cerca di addormentarsi, o consumare un pasto abbondante poco prima di coricarsi possono tutti contribuire a disturbare il sonno. Anche l’alcol, spesso utilizzato come “aiuto” per addormentarsi, può in realtà rivelarsi controproducente: inibisce il sonno REM e impedisce di mantenere un riposo continuativo durante la notte.
In molti casi, l’insonnia è secondaria ad altre condizioni mediche. Può essere correlata ad altri disturbi del sonno come l’apnea notturna o la sindrome delle gambe senza riposo, a disturbi della salute mentale come ansia, depressione o disturbo post-traumatico da stress, o a condizioni fisiche come asma, dolore cronico o morbo di Parkinson. Anche i farmaci utilizzati per trattare queste patologie possono contribuire ai problemi di sonno. Lo stress rappresenta un’altra causa estremamente comune di insonnia, sia che derivi da preoccupazioni ordinarie legate al denaro, al lavoro o alle relazioni, sia che sia scatenato da eventi traumatici specifici come la perdita del lavoro o un lutto in famiglia.

Esiste però una forma di insonnia particolarmente grave e fortunatamente rara: l’insonnia familiare fatale. Come suggerisce il nome, questo disturbo del sonno è letteralmente mortale. La causa è una variante anomala nel gene PRNP, che provoca il ripiegamento scorretto delle proteine prioniche. Queste proteine si accumulano nel talamo e iniziano a distruggere le cellule nervose. Uno dei principali sintomi di questo danno cerebrale è proprio l’insonnia, che spesso si intensifica nel corso di mesi. Secondo il Genetic and Rare Disease Information Center del NIH, i pazienti affetti da questa malattia degenerativa rara generalmente muoiono tra i sei mesi e i tre anni dall’esordio dei sintomi.
Quando si tratta di affrontare l’insonnia, non esiste solo la strada dei farmaci. È qui che entra in gioco la terapia cognitivo-comportamentale per l’insonnia, conosciuta come CBT-I, che insegna a riconoscere e modificare le convinzioni che influenzano la capacità di dormire, mentre la parte comportamentale aiuta a sviluppare buone abitudini del sonno ed evitare comportamenti che impediscono di riposare bene.
Guardando al passato, scopriamo che l’umanità ha sempre cercato soluzioni all’insonnia, anche se non sempre scientificamente fondate. Alcuni antichi romani credevano che strofinare grasso di ghiro sui piedi potesse favorire il sonno. Un rimedio sgradevole, ma non quanto la raccomandazione del matematico rinascimentale Gerolamo Cardano, che suggeriva agli insonni di spalmare cerume di cane sui denti. Un’altra antica terapia per l’insonnia prevedeva un intruglio contenente bile di cinghiale castrato.
Oggi, fortunatamente, disponiamo di una comprensione molto più approfondita dell’insonnia e di approcci terapeutici basati su evidenze scientifiche. Che si tratti di modificare le proprie abitudini, affrontare condizioni mediche sottostanti o intraprendere una terapia cognitivo-comportamentale, le opzioni per migliorare la qualità del sonno sono molteplici e sempre più efficaci. L’importante è riconoscere il problema.