“Vivo nascosta. Sola, senza nessun contatto umano“. Poche parole che dicono tutto di María Corina Machado, venezuelana, premio Nobel per la pace 2025. Una condizione frutto di un lungo ostracismo (è un eufemismo poetico) che le riserva il governo di Maduro per cui quest’attivista rappresenta una spina nel fianco. Nata a Caracas il 7 ottobre 1967, sotto il segno della Bilancia, ingegnera industriale, madre di tre figli, da anni è in prima fila contro l’autoritarismo in Venezuela.
La sua storia è quella di una trasformazione radicale: da madre di tre figli impegnata nel sociale a leader dell’opposizione venezuelana, fino a diventare il bersaglio principale del regime chavista. Un percorso che l’ha portata a pagare prezzi altissimi, inclusa la perdita del seggio parlamentare e l’inabilitazione politica per quindici anni.
Figlia di Henrique Machado Zuloaga, importante uomo d’affari nel settore dell’acciaio, e della psicologa Corina Parisca, María Corina è cresciuta in una famiglia con una lunga tradizione di opposizione alle dittature. Tra i suoi antenati figura l’autore del classico “Venezuela Heroica” del 1881 e un parente ucciso durante una rivolta contro il dittatore Juan Vicente Gómez.
Dopo aver conseguito una laurea in ingegneria industriale presso l’Università Cattolica Andrés Bello e un master in finanza presso l’Instituto de Estudios Superiores de Administración di Caracas, Machado ha anche partecipato al prestigioso World Fellows Program della Yale University nel 2009. Ma il suo impegno civico è iniziato molto prima del coinvolgimento politico diretto.

Nel 1992, quando era già madre di tre bambini, fondò la Fundación Atenea, un’organizzazione che utilizzava donazioni private per prendersi cura dei bambini di strada, orfani e minori delinquenti di Caracas. Ha anche presieduto la Fondazione Opportunitas, dimostrando fin da subito una vocazione per il servizio pubblico e la giustizia sociale.
Il punto di svolta nella sua vita arrivò nel 2001, quando un incontro casuale nella hall di un hotel con Alejandro Plaz cambiò definitivamente il suo destino. Come raccontato dal Washington Post, i due condivisero le loro preoccupazioni sul corso che stava prendendo il Venezuela sotto Hugo Chávez. “Qualcosa è scattato”, ricordò Machado. “Avevo questa sensazione inquietante che non potevo restare a casa e guardare il paese polarizzarsi e collassare”.
Da quell’incontro nacque Súmate, un’organizzazione civile di volontari che avrebbe guidato la petizione per il referendum del 2004 sulla revoca di Hugo Chávez. L’iniziativa trasformò Machado in quella che il New York Times definì “l’avversario più detestato del governo venezuelano”. Chávez bollò pubblicamente i leader di Súmate come cospiratori, golpisti e lacchè del governo statunitense.
Le conseguenze non si fecero attendere. Machado fu accusata di tradimento e cospirazione ai sensi dell’articolo 132 del codice penale venezuelano, per aver ricevuto una sovvenzione di 31.000 dollari dalla National Endowment for Democracy destinata a “lavoro educativo apartitico”. Il governo venezuelano la considerava membro di un’élite corrotta che eseguiva gli ordini dell’amministrazione Bush.
Nel 2005, Machado fu ricevuta nello Studio Ovale dal presidente George W. Bush, una foto che il regime venezuelano utilizzò come prova delle sue presunte connessioni con Washington. Nonostante le pressioni, abbandonò la Fundación Atenea per non politicizzarla, dimostrando coerenza tra i suoi principi e le sue azioni.
La sua carriera politica diretta iniziò con le elezioni parlamentari del 2011, quando divenne la candidata con più voti nella storia dell’Assemblea Nazionale del Venezuela. Un risultato straordinario che certificava il suo consenso popolare e la sua credibilità come leader dell’opposizione.
Il 21 marzo 2014, Machado accettò l’incarico di rappresentante supplente di Panama presso l’Organizzazione degli Stati Americani. La mossa, pensata per dare voce internazionale alle proteste venezuelane, si ritorse contro di lei. Tre giorni dopo, il presidente dell’Assemblea Nazionale Diosdado Cabello annunciò che Machado aveva perso automaticamente il suo status di deputato, per una presunta violazione degli articoli 149 e 191 della Costituzione. Il provvedimento fu rapidamente ratificato dalle autorità giudiziarie venezuelane, in quello che molti osservatori internazionali definirono un processo politico.
Nonostante le persecuzioni, Machado non ha mai abbandonato la lotta. Nel 2012 si era già candidata alle primarie dell’opposizione per la presidenza, raggiungendo il terzo posto con il 3,7% dei voti. Nel 2018, la BBC la inserì nella lista delle 100 Women, riconoscendo il suo impatto globale.
Il culmine della repressione arrivò il 30 giugno 2023, quando il Controllore Generale della Repubblica la inabilitò politicamente per quindici anni, proprio mentre si preparava a competere alle elezioni primarie della Piattaforma Unitaria come candidata del suo movimento Vente Venezuela, da lei fondato nel 2012.
L’inabilitazione non ha fermato il suo attivismo. Machado è anche membro, insieme ad Antonio Ledezma e Diego Arria, della piattaforma cittadina “Io sono il Venezuela”, continuando a essere una voce critica del regime madurista e un simbolo di resistenza democratica.
Il Nobel per la pace 2025 rappresenta il riconoscimento internazionale di una battaglia condotta con determinazione e a caro prezzo personale. Una donna che ha scelto “voti piuttosto che proiettili”, come disse lei stessa, e che ha pagato questa scelta con l’esilio politico, le accuse di tradimento e anni di persecuzioni.