Nicolás Maduro Moros è il presidente del Venezuela dal marzo 2013, una figura controversa che ha trasformato il Paese sudamericano in uno degli stati più isolati e instabili del continente. Nato a Caracas il 23 novembre 1962 da madre colombiana e padre venezuelano di origini ebraiche sefardite, la sua ascesa al potere rappresenta una storia tanto improbabile quanto drammatica per le conseguenze che ha avuto su milioni di venezuelani.
Prima di entrare in politica, Maduro lavorava come autista di autobus: un’origine umile che ha sempre utilizzato a proprio vantaggio per costruire la propria immagine di “uomo del popolo”. Dopo essere diventato dirigente sindacale, è stato eletto all’Assemblea Nazionale nel 2000, iniziando una carriera politica che lo ha portato a ricoprire ruoli sempre più rilevanti all’interno del movimento fondato da Hugo Chávez.
Dal 2006 al 2013 ha servito come Ministro degli Esteri del Venezuela, per poi essere nominato vicepresidente nell’ottobre 2012. Quando Hugo Chávez, già gravemente malato di cancro, lo scelse come suo successore nel 2012, molti rimasero sorpresi: in molti si aspettavano che il leader carismatico designasse Diosdado Cabello, un militare combattivo. Invece Chávez affidò il futuro del movimento a Maduro, che dopo la morte del predecessore nel marzo 2013 vinse le elezioni con un margine strettissimo di appena 1,6 punti percentuali contro l’opposizione.
Negli undici anni di presidenza Maduro, il Venezuela ha attraversato una delle crisi economiche e umanitarie più gravi della sua storia. La combinazione tra la diffusa corruzione, la politica economica governativa e il crollo del prezzo del petrolio, principale risorsa del Paese, ha provocato un’impennata dell’inflazione, della povertà e della criminalità. Gli scaffali vuoti dei supermercati sono diventati un’immagine simbolo del Venezuela di Maduro: la penuria di generi alimentari e medicinali ha spinto quasi otto milioni di venezuelani a lasciare il Paese nell’ultimo decennio, generando una delle più grandi crisi migratorie del continente americano.
Il governo Maduro è stato accusato ripetutamente di reprimere violentemente l’opposizione democratica. Le proteste di piazza, iniziate nel 2014 e intensificatesi dal 2016, sono state affrontate con arresti di massa, torture e violenze. Organizzazioni internazionali per i diritti umani come Amnesty International e Human Rights Watch hanno documentato numerosi casi di uccisioni, maltrattamenti e violenza sessuale ai danni dei manifestanti. Il sistema giudiziario venezuelano è stato utilizzato sistematicamente per ridurre al silenzio i dissidenti, ricorrendo persino alla giurisdizione militare per processare civili.
Nel 2020 una commissione delle Nazioni Unite ha formalmente accusato Maduro di crimini contro l’umanità, chiedendo che fosse processato alla Corte Penale Internazionale dell’Aja. Nello stesso anno, il Dipartimento di Stato degli Stati Uniti ha emesso un mandato di cattura contro di lui, offrendo inizialmente una taglia di quindici milioni di dollari, poi aumentata a venticinque milioni all’inizio del 2025. Le accuse riguardano narco-terrorismo, traffico di cocaina e uso di armi automatiche legate alle attività di narcotraffico.
Maduro ha sempre respinto queste accuse, dipingendosi come un combattente contro “le forze imperialiste statunitensi” e attribuendo la crisi economica venezuelana alle sanzioni internazionali. Dal novembre 2013 governa il Venezuela attraverso decreti legge, consolidando il proprio potere grazie al controllo dei principali organi istituzionali: il Consiglio Elettorale Nazionale, la Corte Suprema, l’Ufficio del Procuratore Generale e le forze armate.

Il ministro della Difesa Vladimir Padrino è rimasto al suo fianco per quasi un decennio, garantendo la lealtà dell’esercito anche nei momenti più critici. Nel gennaio 2019, quando il leader dell’opposizione Juan Guaidó si autoproclamò presidente legittimo sostenendo che la rielezione di Maduro nel 2018 fosse stata fraudolenta, il sostegno militare impedì qualsiasi tentativo di cambio di regime. Le elezioni del 2018 non erano state infatti considerate né libere né eque, con la principale coalizione di opposizione che aveva boicottato il voto dopo l’arresto o la fuga all’estero di numerosi candidati.
Maduro si circonda di un ristretto gruppo di collaboratori fidati che ruota attraverso diversi incarichi di alto livello. Tra questi figura Delcy Rodríguez, che ha ricoperto i ruoli di ministro delle Comunicazioni, ministro degli Esteri e, più recentemente, vicepresidente. Suo fratello Jorge Rodriguez attualmente presiede l’Assemblea Nazionale controllata dal governo. Questo circolo ristretto è ulteriormente saldato dalle accuse comuni: nel 2020 le autorità statunitensi hanno incriminato per narco-terrorismo e traffico di droga non solo Maduro, ma anche alcuni membri della sua cerchia più stretta, incluso il ministro della Difesa.
La sua gestione del potere è stata caratterizzata da un progressivo autoritarismo. Nel febbraio 2024, durante un discorso per celebrare l’anniversario del tentativo di colpo di stato del 1992 guidato da Chávez, Maduro promise ai suoi sostenitori che avrebbe vinto le elezioni presidenziali di luglio “con le buone o con le cattive”. Questa frase, successivamente contestata e “chiarita” dallo stesso Maduro, riflette l’approccio sempre più spregiudicato del regime nei confronti della competizione democratica.
La sua avversaria più temibile, María Corina Machado, aveva vinto le primarie dell’opposizione nell’ottobre 2023 con il 93% dei voti e 2,4 milioni di preferenze, riuscendo nell’impresa di unire l’opposizione venezuelana notoriamente frammentata. La risposta del governo è stata drastica: prima il controllore generale, alleato del governo, ha vietato a Machado di candidarsi, poi la decisione è stata confermata dalla Corte Suprema controllata dall’esecutivo. Quando l’opposizione ha designato una sostituta, anche a lei è stato impedito di registrarsi. Alla fine il candidato dell’opposizione Edmundo González, un diplomatico settantaquattrenne relativamente sconosciuto, ha affrontato Maduro nelle elezioni, superandolo nei sondaggi con margini fino al 40%.
Nel 2019, per arginare il collasso economico, Maduro ha allentato alcune delle rigide regolamentazioni valutarie introdotte da Chávez, permettendo una parziale dollarizzazione dell’economia. Le carenze di beni sono diminuite da allora, ma chi non ha accesso a valuta straniera continua a vivere in condizioni di estrema difficoltà. I sondaggi d’opinione mostrano che la popolarità di Maduro è crollata nel corso degli anni, principalmente a causa del deterioramento economico che ha presieduto.
Nonostante il progressivo isolamento internazionale e le accuse che lo dipingono come un dittatore, Maduro può ancora contare su un nucleo di sostenitori fedeli al Partito Socialista Unito del Venezuela e su coloro che hanno beneficiato economicamente del suo governo. La sua retorica negli ultimi anni è diventata sempre più bellicosa: ha persino evocato il rischio di una “guerra civile” e di un “bagno di sangue” nel caso perdesse le elezioni, mantenendo viva la tensione in un Paese già lacerato da una crisi senza precedenti.
María Corina Machado, che nel 2025 ha ricevuto il Premio Nobel per la Pace per il suo impegno nella promozione dei diritti democratici in Venezuela, vive oggi in clandestinità ed è accusata dal regime di tradimento, terrorismo, cospirazione e omicidio. La sua lotta rappresenta la resistenza di milioni di venezuelani che continuano a sperare in un ritorno alla democrazia, mentre Maduro consolida il proprio potere attraverso il controllo delle istituzioni e la repressione sistematica del dissenso.