Sono ore di grande trepidazioni e gioia, queste, per i familiari degli ostaggi nelle mani di Hamas dopo la strage del 7 ottobre 2023. L’organizzazione ha reso noti i nomi delle persone che libererà a momenti. Si tratta di Bar Abraham Kupershtein, Evyatar David, Yosef-Chaim Ohana, Segev Kalfon, Avinatan Or, Elkana Bohbot, Maxim Herkin, Nimrod Cohen, Matan Angrest, Matan Zangauker (figlio di Einav, una delle attiviste più impegnate nella sensibilizzazione della questione ostaggi), Eitan Horn, Eitan Abraham Mor, Gali Berman, Ziv Berman, Omri Miran, Alon Ohel, Guy Gilboa-Dalal, Rom Braslavski, Ariel Cunio and David Cunio.
Contestualmente, le Forze di Difesa Israeliane (IDF) hanno annunciato il lancio dell’operazione “Ritorno a casa”. Secondo i media israeliani, il rilascio dovrebbe iniziare alle ore 8:00 ora locale dal corridoio di Netzarim e proseguire alle 10:00 a Khan Younis, nella Striscia di Gaza.
In una dichiarazione sui social media, l’IDF ha sottolineato l’importanza simbolica dell’operazione: “Tra poche ore saremo tutti riuniti, un popolo, abbracciati e uniti”. Le aspettative sono alte non solo per il rilascio degli ostaggi vivi, ma anche per la restituzione dei corpi di altre vittime ancora trattenute a Gaza, parte di un accordo più ampio che prevede lo scambio di centinaia di prigionieri palestinesi detenuti in Israele.

Il presidente degli Stati Uniti Donald Trump ha dichiarato con sicurezza che “la guerra è finita” a Gaza, nonostante permangano incertezze sul futuro a lungo termine della regione. Trump co-ospiterà insieme al presidente egiziano Abdel Fattah El-Sisi un vertice di pace internazionale a Sharm el-Sheikh, la località sul Mar Rosso che oggi diventerà il palcoscenico di una storica conferenza per la ricostruzione di Gaza.
Il conflitto, iniziato con l’attacco a sorpresa di Hamas e altri gruppi militanti il 7 ottobre 2023, ha causato la morte di circa 1.200 israeliani e il rapimento di circa 250 persone. L’offensiva militare israeliana che ne è seguita ha provocato, secondo il Ministero della Salute di Gaza, oltre 67.600 vittime palestinesi e ha ridotto gran parte del territorio in macerie. Il cessate il fuoco attuale rappresenta la prima pausa significativa nelle ostilità dopo due anni di guerra devastante.
Al vertice di Sharm el-Sheikh parteciperanno numerosi leader mondiali. Il primo ministro britannico Keir Starmer ha annunciato che il Regno Unito è pronto a svolgere un “ruolo di primo piano” nella ricostruzione di Gaza, impegnando 20 milioni di sterline (26,7 milioni di dollari) in finanziamenti umanitari per riparare le infrastrutture idriche, sanitarie e igieniche decimate dalla guerra. Anche il Pakistan sarà rappresentato dal primo ministro Shehbaz Sharif, mentre l’India invierà il ministro di Stato per gli Affari Esteri Kirti Vardan Singh.
Significativa invece l’assenza dell’Iran, che ha declinato l’invito egiziano. Il ministro degli Esteri iraniano Abbas Araghchi ha spiegato la decisione su X, affermando: “Né il presidente Pezeshkian né io possiamo impegnarci con controparti che hanno attaccato il popolo iraniano e continuano a minacciarci e sanzionarci”, riferendosi agli Stati Uniti, che a giugno si erano brevemente uniti a Israele in attacchi contro siti nucleari iraniani durante una guerra di dodici giorni.
Sul fronte diplomatico europeo, il vicecancelliere tedesco Lars Klingbeil ha segnalato ieri che la Germania potrebbe revocare le restrizioni sulle esportazioni di armi verso Israele, imposte ad agosto come risposta alle operazioni militari espansive di Israele a Gaza. “La Germania rimane il secondo maggiore fornitore di armi di Israele dopo gli Stati Uniti, posizione legata alla politica dello “Staatsraison”, la responsabilità storica tedesca verso Israele a causa dell’Olocausto nazista.
Il presidente israeliano Isaac Herzog ha annunciato che conferirà a Donald Trump la più alta onorificenza civile del paese per il suo ruolo nel garantire il rilascio degli ostaggi e nel contribuire a porre fine alla guerra.
Mentre le delegazioni internazionali convergono verso l’Egitto, Gaza si prepara a ricevere un’ondata di aiuti umanitari tanto attesi. Il territorio, devastato da due anni di combattimenti, affronta condizioni di carestia diffusa. L’accordo prevede un aumento significativo degli aiuti, essenziale per milioni di palestinesi che hanno perso case, infrastrutture e mezzi di sostentamento.