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Home » Attualità » Il protocollo del ritorno degli ostaggi di Hamas: come si ricostruisce una mente dopo 734 giorni di buio

Il protocollo del ritorno degli ostaggi di Hamas: come si ricostruisce una mente dopo 734 giorni di buio

Sette ostaggi israeliani liberati dopo 734 giorni a Gaza. Gli ospedali si preparano ad accogliere i prigionieri con protocolli medici specializzati.
Gabriella DabbeneDi Gabriella Dabbene13 Ottobre 2025
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Dei veicoli della Croce Rossa con a bordo i primi 7 ostaggi rilasciati da Hamas si apprestano a lasciare Gaza
Dei veicoli della Croce Rossa con a bordo i primi 7 ostaggi rilasciati da Hamas si apprestano a lasciare Gaza (fonte: Dawoud Abu Alkas/Reuters)
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Dopo oltre due anni di prigionia, i primi sette ostaggi israeliani detenuti a Gaza hanno attraversato il confine verso Israele, segnando l’avvio della prima fase dell’accordo di cessate il fuoco mediato dall’amministrazione Trump. Le Forze di Difesa Israeliane e lo Shin Bet hanno confermato di aver ricevuto i prigionieri liberati, che sono stati immediatamente presi in carico per essere trasportati verso strutture mediche specializzate.

Gli ostaggi rilasciati in questa prima tranche sono Matan Angrest, i fratelli Gali e Ziv Berman, Alon Ohel, Eitan Mor, Guy Gilboa-Dalal e Omri Miran. Secondo quanto comunicato dall’IDF, i sette sono stati consegnati alla Croce Rossa nella città di Gaza e successivamente trasferiti alle forze israeliane, che li hanno accompagnati attraverso il confine. La loro prima destinazione è stata la base militare di Re’im, nel sud di Israele, dove è previsto un protocollo di accoglienza medica e psicologica strutturato su più livelli.

La liberazione è avvenuta dopo più di 730 giorni di prigionia, un periodo che pone sfide straordinarie dal punto di vista sanitario. Gli ospedali israeliani si sono preparati per settimane a ricevere persone che potrebbero aver subito traumi fisici e psicologici complessi: malnutrizione, condizioni igieniche precarie, ferite non trattate, disturbi da stress post-traumatico e possibili torture sono tutti elementi che i team medici devono essere pronti ad affrontare.

Prima del loro rilascio, alcuni degli ostaggi hanno potuto parlare telefonicamente con le proprie famiglie tramite videochiamate autorizzate da Hamas. Immagini di questi momenti sono state diffuse e mostrate sui grandi schermi allestiti in Hostages Square a Tel Aviv, dove circa 65.000 persone si erano radunate per seguire gli sviluppi in tempo reale. La folla è esplosa in applausi e grida di gioia quando è stata annunciata la conferma dell’attraversamento del confine.

L’accordo prevede il rilascio complessivo di 20 ostaggi ancora in vita, oltre alla restituzione delle salme di altre vittime. I restanti 13 prigionieri viventi dovrebbero essere liberati nelle ore successive da diverse aree della Striscia di Gaza, anche se al momento non è stata comunicata una tempistica precisa. L’IDF ha dichiarato di essere “pronto a ricevere ulteriori ostaggi che saranno trasferiti alla Croce Rossa successivamente”.

In parallelo alla liberazione degli israeliani, Hamas ha diffuso l’elenco dei prigionieri palestinesi che saranno rilasciati dalle carceri israeliane come parte dello scambio. Questo meccanismo di reciprocità rappresenta uno degli elementi centrali dell’intesa raggiunta sotto la supervisione americana, egiziana e qatariota. Le nazioni mediatrici dovrebbero firmare un documento di garanzia del cessate il fuoco durante un vertice di pace in Egitto, al quale è atteso anche il presidente degli Stati Uniti Donald Trump, il cui arrivo in Israele è previsto a breve.

La dottoressa Noya Shilo dello Sheba Medical Center di Ramat Gan accoglie uno degli ostaggi rilasciati a febbraio del 2024
La dottoressa Noya Shilo dello Sheba Medical Center di Ramat Gan accoglie uno degli ostaggi rilasciati a febbraio del 2024 (fonte: Sheba Medical Center)

Il protocollo sanitario per gli ostaggi liberati include una prima valutazione medica immediata alla base di Re’im, seguita dal trasporto in elicottero verso ospedali specializzati. Qui, delle équipe multidisciplinari composte da medici, psicologi, nutrizionisti e traumatologi prenderanno in carico i pazienti per un percorso di riabilitazione che potrebbe durare mesi, se non anni. L’esperienza maturata con precedenti casi di ostaggi e prigionieri di guerra ha permesso di sviluppare protocolli specifici, ma ogni situazione rimane unica e richiede un approccio personalizzato.

La lunga durata della prigionia solleva interrogativi complessi sul recupero psicofisico. Oltre due anni di isolamento, incertezza e potenziali maltrattamenti lasciano tracce profonde che richiedono un supporto continuativo. Le famiglie, che hanno atteso questo momento per oltre 734 giorni, dovranno ora affrontare la delicata fase del reinserimento dei propri cari nella vita quotidiana, un processo che gli esperti descrivono come graduale e non privo di difficoltà.

Mentre i convogli della Croce Rossa attraversavano Gaza scortati dalle immagini riprese dai media internazionali, in Israele cresceva l’attenzione non solo per il ritorno immediato degli ostaggi, ma anche per le implicazioni più ampie dell’accordo. La tenuta del cessate il fuoco, la ricostruzione di Gaza, il destino dei prigionieri ancora detenuti e il ruolo delle potenze internazionali nel garantire la stabilità a lungo termine restano questioni aperte che definiranno i prossimi capitoli di questa complessa vicenda.

Per ora, però, il focus rimane sulle sette persone che hanno finalmente rivarcato il confine verso casa, e sulle strutture sanitarie che rappresentano il primo passo concreto verso un ritorno alla normalità dopo un’esperienza che ha segnato indelebilmente le loro vite e quelle delle loro famiglie.

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