Eugenia Maria Roccella ha compiuto uno dei percorsi politici più controversi e paradossali della Repubblica italiana. Nata a Bologna il 15 novembre 1953, figlia del politico Franco Roccella, fondatore del Partito Radicale, e della pittrice e femminista Wanda Raheli, oggi ricopre il ruolo di ministra per la famiglia, la natalità e le pari opportunità nel governo Meloni. Un incarico che suona come un’ironia della storia per chi conosce le sue origini politiche.
Negli anni Settanta, Roccella era infatti una delle voci più autorevoli del movimento femminista italiano. A soli 18 anni entra nel Movimento di liberazione della donna, diventandone leader durante gli studi universitari alla Sapienza di Roma. In quegli anni si batte per l’aborto libero, contro la violenza sulle donne, per la modifica del diritto di famiglia e per le pari opportunità. Nel 1975 pubblica il libro Aborto: facciamolo da noi, con prefazione dell’attivista Adele Faccio, manifesto di una stagione in cui il movimento richiedeva informazione gratuita sui mezzi anticoncezionali, liberalizzazione dell’aborto senza distinzioni e socializzazione del lavoro di cura.
La svolta arriva dopo il 1979, quando Roccella si candida alla Camera con i Radicali ma non viene eletta, ottenendo solo 292 preferenze. È in questo momento che inizia il suo allontanamento dal partito del padre. In un’intervista pubblicata nel 2005 su Avvenire, spiega di essere affezionata a Marco Pannella ma di voler lasciare i radicali perché portavano avanti “battaglie che stavano conducendo alla distruzione dell’individuo”. Da quel momento, per quasi vent’anni, Roccella sparisce dai radar della politica attiva.
Il ritorno sulla scena pubblica coincide con un cambio radicale di posizioni. Laureata in Lettere moderne e dottoressa di ricerca, dal 2000 è giornalista professionista e inizia a scrivere per testate come Avvenire, Il Foglio e Il Giornale, diventando persino biografa di Silvio Berlusconi. La pubblicazione del libro Dopo il femminismo segna il suo passaggio verso posizioni conservatrici e la distanza definitiva dalle battaglie giovanili.
Nel 2008 viene eletta alla Camera dei deputati con il Popolo della Libertà e nominata sottosegretaria al ministero del Lavoro, della salute e delle politiche sociali nel governo Berlusconi IV. Da quel momento le sue dichiarazioni assumono toni sempre più critici verso i diritti riproduttivi e civili. Nel 2013 definisce la gestazione per altri una pratica di “liberismo procreativo”, mentre la pillola abortiva RU486 viene etichettata come “aborto a domicilio”. Sulla cosiddetta libertà di scelta in materia di aborto, Roccella afferma che si sta trasformando in “una libertà di scelta sul figlio” attraverso la selezione genetica.
Al primo Family Day del 2007, Roccella è portavoce della manifestazione contro le unioni civili. In un’intervista a Toscana Oggi dichiara l’inutilità di riconoscere diritti alla comunità LGBT, sostenendo che in Italia esistono già matrimonio civile e divorzio. Anni dopo, scrive sul mensile Tempi che “gli omosessuali che si vogliono sposare sono effettivamente pochi”, minimizzando le richieste di riconoscimento delle coppie dello stesso sesso.
Rieletta nel 2013 e nel 2018, quest’ultima volta in quota Fratelli d’Italia, Roccella attraversa diversi partiti: da Forza Italia al Popolo della Libertà, dal Nuovo Centrodestra di Alfano al Movimento Identità e Azione di ispirazione democristiana, passando per Cambiamo! e Coraggio Italia, fino all’approdo definitivo nel partito di Giorgia Meloni nel 2022.

La sua nomina a ministra nell’ottobre 2022 ha suscitato preoccupazioni tra le associazioni femministe e LGBT, che vedono in lei una figura orientata alla famiglia tradizionale e contraria all’aborto, ai diritti delle persone omosessuali, all’eutanasia e al fine vita. Il suo percorso politico è diventato simbolo di una trasformazione ideologica che tocca i poli opposti dello spettro politico italiano.
Recentemente Roccella è finita al centro di una polemica per alcune dichiarazioni sui viaggi di istruzione ad Auschwitz. Durante un convegno dell’Unione delle comunità ebraiche al CNEL, la ministra ha affermato che le “gite scolastiche ad Auschwitz” sarebbero state incoraggiate per confinare l’antisemitismo a “un tempo ormai collocato nella storia” e a “una precisa area: il fascismo”, servendo a dire che “il problema era essere antifascista, non essere antisemita”.
Le parole hanno provocato la dura reazione della senatrice a vita Liliana Segre, sopravvissuta alla Shoah: “Stento a credere che una ministra della Repubblica, dopo avere definito ‘gite’ i viaggi di istruzione ad Auschwitz, possa avere detto che sono stati incoraggiati per incentivare l’antifascismo. La memoria della verità storica fa male solo a chi conserva scheletri negli armadi”.
Roccella ha successivamente replicato accusando una “interpretazione distorta” delle sue parole, definendosi “da sempre amica di Israele e degli ebrei” e annunciando la volontà di chiarire la questione in audizione presso la Commissione Segre sull’antisemitismo. L’episodio ha riacceso il dibattito sul rapporto della destra italiana con la memoria storica e con il fascismo.
Oggi Eugenia Roccella incarna un paradosso politico: da paladina delle libertà individuali negli anni Settanta a custode dei valori tradizionali e della “famiglia naturale”. Un percorso che solleva interrogativi sul significato della coerenza politica e sulle trasformazioni ideologiche che attraversano decenni di storia repubblicana. Per i suoi sostenitori rappresenta un’evoluzione maturata con l’esperienza; per i critici, un tradimento delle battaglie giovanili e dei diritti conquistati dal movimento femminista.