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Home » Ambiente » Animali » 50 uova per volta, nessun predatore e milioni di danni: ecco perché le cimici asiatiche sono un incubo

50 uova per volta, nessun predatore e milioni di danni: ecco perché le cimici asiatiche sono un incubo

Invasione cimici asiatiche 2025: danni milionari all'agricoltura italiana. Cause, soluzioni biologiche con vespa samurai e rimedi efficaci contro l'infestazione.
Gabriella DabbeneDi Gabriella Dabbene15 Ottobre 2025
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Un esemplare di Halyomorpha halys, detta comunemente cimice asiatica
Un esemplare di Halyomorpha halys, detta comunemente cimice asiatica (fonte: Wikipedia)
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L’autunno 2025 sta segnando un ritorno preoccupante dell’emergenza cimici asiatiche in diverse regioni italiane. Dalla Tuscia viterbese all’Emilia-Romagna, passando per il Veneto, le segnalazioni si moltiplicano e la situazione appare significativamente peggiorata rispetto agli ultimi due anni. Non si tratta solo di un fastidio domestico: le cimici asiatiche rappresentano una minaccia concreta per l’agricoltura italiana, con danni economici milionari già registrati e la prospettiva di perdite ancora più gravi.

L’assessore all’Agricoltura dell’Emilia-Romagna, Alessio Mammi, ha confermato l’allerta: “Solo in Emilia-Romagna sono stati erogati 10 milioni di euro tra ristori e indennizzi per gli agricoltori. Dopo due anni di miglioramento, nel 2025 la situazione è tornata a peggiorare e per questo stiamo portando avanti ricerche, anche in collaborazione con gli Stati Uniti, per trovare soluzioni”. La regione si trova nella stessa condizione critica di Veneto e Lazio, dove l’invasione sta assumendo dimensioni allarmanti.

La Halyomorpha halys, meglio conosciuta come cimice asiatica, è un insetto invasivo originario dell’Asia orientale che ha fatto la sua prima comparsa in Europa nel 2007 in Svizzera. In Italia è stata avvistata per la prima volta nel 2012 nel modenese, ma la sua diffusione è stata rapidissima. Oggi la specie è presente su tutto il territorio nazionale, con concentrazioni particolarmente dannose nel Nord Italia e nelle zone caratterizzate da intense coltivazioni specializzate come i noccioleti della Tuscia.

Nelle zone della bassa Tuscia, tra Caprarola, Carbognano, Fabrica di Roma, Corchiano e Vignanello, la situazione è descritta dagli agricoltori come “mai vista prima”. Muri, tetti, panni stesi, infissi: ogni superficie è letteralmente colonizzata da questi insetti che, con l’arrivo dei primi freddi autunnali, abbandonano i campi per cercare riparo negli edifici, trasformando la vita quotidiana dei cittadini in un incubo. Le aree più colpite corrispondono esattamente ai territori ad alta densità di noccioleti, la principale risorsa agricola locale e bersaglio privilegiato della voracità dell’insetto.

La capacità di diffusione della cimice asiatica è eccezionale e dipende da diversi fattori combinati. Gli esemplari adulti hanno una grande mobilità e si spostano facilmente tra diverse aree. Ma è soprattutto la velocità di riproduzione a renderla così problematica: ogni femmina può deporre fino a 50 uova per volta, con picchi riproduttivi nella seconda e terza generazione annuale. Il numero di generazioni che si sviluppano nell’arco di un anno varia in base al clima: nelle zone più fredde si forma una sola generazione, mentre in quelle più calde possono svilupparsene fino a quattro o sei. In Italia si registrano generalmente due generazioni all’anno, ma le temperature sempre più miti stanno modificando questo equilibrio.

Ed è proprio il cambiamento climatico uno dei fattori chiave dietro l’aggravarsi dell’invasione nel 2025. In passato, un inverno rigido riusciva a ridurre del 70% la popolazione di cimici, decimando gli esemplari che svernano in ambienti poco protetti. Oggi, con stagioni fredde sempre più miti e brevi, il tasso di sopravvivenza è altissimo, permettendo a popolazioni numerosissime di superare l’inverno e riprodursi massicciamente in primavera.

Durante i mesi freddi, l’insetto si rifugia in anfratti naturali, sottotetti, cassonetti delle tapparelle, ripostigli, intercapedini e persino all’interno dei tronchi. Tendono a riunirsi in gruppi numerosi, richiamando altri esemplari attraverso feromoni aggregativi, sostanze chimiche che funzionano come segnali di comunicazione. Questa tendenza al raggruppamento spiega perché alcune abitazioni risultino particolarmente infestate mentre altre, anche vicine, ne siano relativamente risparmiate.

I danni causati dalla cimice asiatica sono ingenti e multiformi. Questo insetto polifago si nutre di oltre 150 specie vegetali, tra cui melo, pero, kiwi, nocciolo, pesco, ciliegio, vite, mais, soia, pomodoro, peperone, pisello, asparago, fagiolo, ma anche piante ornamentali e forestali come pioppi e aceri. L’insetto si alimenta pungendo frutti, semi, foglie e, in alcuni casi, anche rami giovani o cortecce sottili.

Il danno non è solo meccanico, dovuto alla sottrazione di sostanze nutritive, ma anche chimico: durante l’alimentazione, la cimice rilascia sostanze salivari che causano necrosi dei tessuti, deformazioni e alterazioni del sapore dei frutti, rendendoli immangiabili e commercialmente inutilizzabili. Le punture provocano inoltre deformazioni che compromettono lo sviluppo normale del frutto, con perdite che possono arrivare a danneggiare interi raccolti.

Un'abitazione infestata dalle cimici asiatiche
Un’abitazione infestata dalle cimici asiatiche (fonte: Gonews)

Gli agricoltori che operano in regime convenzionale cercano di contenere l’infestazione con trattamenti a base di piretroidi, insetticidi sintetici che possono essere applicati fino a 15-20 giorni prima della raccolta. Tuttavia, l’efficacia di questi interventi è limitata nel tempo: il principio attivo si degrada in 3-4 giorni, lasciando spazio a nuove ondate di infestazione. Si tratta dunque di una soluzione tampone, non risolutiva, che richiede applicazioni ripetute e comporta costi economici e ambientali significativi.

Una speranza più concreta arriva dalla lotta biologica. Nell’ultimo anno è stato avviato in diverse regioni italiane il rilascio controllato della Trissolcus japonicus, comunemente chiamata vespa samurai. Questo minuscolo insetto, lungo appena 1-2 millimetri, è l’antagonista naturale della cimice asiatica nel suo ambiente d’origine. La vespa samurai parassita le uova della cimice, deponendo al loro interno le proprie uova: le larve della vespa si sviluppano nutrendosi dell’embrione della cimice, impedendone la schiusa.

I primi risultati di questo approccio sono incoraggianti. Diversi agronomi riferiscono di aver identificato colonie di vespe attive in vari punti del territorio, capaci di contenere significativamente la riproduzione della cimice. Si tratta di un metodo sostenibile, che non richiede interventi chimici ripetuti e che, una volta stabilizzato nell’ecosistema, può autoregolarsi. Tuttavia, affinché la lotta biologica risulti davvero efficace, è necessario un approccio coordinato su scala più ampia, con rilasci pianificati e monitoraggio costante delle popolazioni sia della cimice che del suo antagonista naturale.

Per i cittadini che si trovano a dover gestire l’invasione nelle proprie abitazioni, l’intervento più efficace consiste nell’agire prima che gli insetti si risveglino dal letargo invernale, quando lasciano i rifugi interni per tornare all’aperto. Il primo passo è individuare le zone dove si nascondono: cassonetti delle tapparelle, infissi, intercapedini, sottotetti e altri anfratti. Una volta localizzati, è possibile procedere alla cattura manuale o utilizzando aspiratori dotati di sacchetto, che permettono di raccogliere gli insetti senza schiacciarli e rilasciare il caratteristico odore sgradevole.

Se le cimici sono già attive e si muovono rapidamente, è possibile rallentarle temporaneamente con ghiaccio secco spray, che le immobilizza permettendo una cattura più agevole. È importante sigillare crepe, fessure e punti di accesso agli edifici prima dell’arrivo dell’autunno, per prevenire l’ingresso di nuovi esemplari. Esistono anche rimedi naturali di allontanamento, basati su oli essenziali come menta, lavanda o aglio, che possono risultare efficaci come deterrenti, anche se non eliminano il problema alla radice.

L’obiettivo delle istituzioni e del mondo agricolo è ora quello di rafforzare la difesa biologica e coordinare un’azione integrata che coinvolga agronomi, produttori, amministrazioni locali e cittadini. Senza interventi strutturali e tempestivi, il rischio è che l’invasione continui a crescere, con gravi ricadute sull’economia agricola, sulla qualità della vita nelle zone rurali e sulla sostenibilità ambientale del territorio. La collaborazione internazionale, come quella avviata tra l’Emilia-Romagna e gli Stati Uniti, rappresenta una via promettente per sviluppare strategie innovative e condividere conoscenze su un problema che ormai riguarda molte aree del pianeta.

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