Secondo le risultanze di un’inchiesta sul delitto di Via Poma, avviata attorno al 2021 su istanza degli avvocati della famiglia Cesaroni, a uccidere Simonetta sarebbe stato Mario Vanacore, imprenditore nato nel 1977, figlio di Pietrino, portiere dello stabile. L’uomo, all’epoca del delitto era residente a Torino, e nei giorni attorno al 7 agosto 1990 si trovava nella Capitale proprio per far visita al padre. La Pubblico Ministero Gianfederica Dito ha però chiesto l’archiviazione del caso, ritenendo l’inchiesta “fondata su una serie di ipotesi e suggestioni che, in assenza di elementi concreti di natura quantomeno indiziaria, non consentono di superare le forti perplessità sulla reale fondatezza del quadro ipotetico tracciato»”. Vanacore vive ancora oggi a Torino, dove è titolare di un’azienda, è sposato e ha una figlia. Ha una sorella, Anna. Suo padre Pietro si è tolto la vita nel 2010, mentre sua madre morì anni dopo un incidente domestico che ebbe gravi conseguenze sulla sua salute.
Stando alla ricostruzione dei Carabinieri, riportata in esclusiva da Repubblica, Mario Vanacore si sarebbe recato in Via Poma allo scopo di effettuare gratuitamente alcune telefonate interurbane, utilizzando le chiavi del padre, in quel momento assente dalla guardina. Entrato nell’edificio, però, Mario si sarebbe trovato davanti Simonetta e, “a quel punto, intenzionato ad abusare della ragazza sola, verosimilmente sotto minaccia, la costringe ad andare nella stanza del direttore”, dove poi il cadavere sarebbe stato ritrovato. Nel tentativo di difendersi dall’aggressione dell’uomo, Simonetta avrebbe allora afferrato “quella che sarà l’arma del delitto – impugnandola perché era alla sua portata o sottraendola momentaneamente all’uomo”, colpendolo.
A quel punto, Vanacore avrebbe colpito la ragazza con la stessa arma, “sferrandole un violento colpo al viso che la stordisce e la fa cadere a terra”. Poi, probabilmente, preso dal panico, l’uomo scaglia i fendenti letali e se ne va in gran fretta, dimenticando però la sua agenda telefonica, di colore rosso, marchiata Lavazza, che tanta parte avrebbe avuto nell’iter processuale legato al delitto. Secondo l’informativa dei carabinieri, da quel momento in poi viene messa in atto un’operazione di pulizia delle “tracce volte ad ostacolare le indagini che ne sarebbero conseguite, alla quale partecipa certamente Pietrino Vanacore”.
Tre giorni dopo il delitto, il portiere viene arrestato, insieme alla moglie; verrà scagionato da ogni accusa qualche mese dopo. Del delitto verranno successivamente accusati il rampollo Federico Valle, figlio dell’architetto Cesare, scagionato prima del processo per non aver commesso il fatto, e l’ex fidanzato di Simonetta Raniero Busco, condannato in primo grado a 24 anni nel 2011, poi successivamente assolto.
Il nome di Mario Vanacore era però già stato accostato al delitto nel 1994, quando a seguito dell’inchiesta di un tabloid, l’uomo finì sotto accusa dell’opinione pubblica, affidando la propria difesa a un’intervista sul quotidiano La Stampa: “Non ho ricevuto nessuna informazione di garanzia. E sono anche stufo di essere tirato in ballo o di vedere travisate le mie dichiarazioni. Agli inizi io e mio padre parlavamo con i giornalisti, ma sistematicamente alcuni distorcevano quanto dicevamo. Sono mancino, questo sì, ma non certo assassino“.
Riguardo il giorno in cui fu uccisa Simonetta, Mario racconta che fu una giornata normale, trascorsa col padre e la matrigna, tra pranzo e piccole commissioni. In serata arrivarono delle persone che cercavano la ragazza e fu allora che vide Simonetta per la prima volta, morta.
“Con mio papà e la mia matrigna abbiamo pranzato e siamo andati a dormire. Ci siamo alzati verso le 17. Siamo andati in farmacia, dal tabaccaio, in altri luoghi. Poi abbiamo cenato e mio padre è andato a dormire dal signor Valle, che era anziano”. Successivamente “sono arrivati alcuni personaggi che hanno bussato alla porta e ci hanno chiesto se potevamo andare a cercare la ragazza in ufficio”. Mario aggiunge che quella giornata non è sempre stato insieme a suo padre, ma ci sono stati dei momenti in cui si sono separati.
Riguardo suo padre Pietro invece, Mario non esitò a definirlo un perseguitato. E nei giorni successivi al suo suicidio, disse a Repubblica: “Mio padre si sentiva il peso di aver coinvolto involontariamente la sua famiglia. Non era angosciato per paura che uscisse fuori qualcosa di strano ma il fatto di aver coinvolto i suoi familiari lo faceva stare male. Una o due volte, in passato, gli ho chiesto se sapesse qualcosa, se fosse stato minacciato da qualcuno e lui mi aveva detto: ‘Non lo avrei mai nascosto a nessuno se avessi saputo qualcosa”. “Il suo modo di fare, il suo carattere chiuso, può aver fatto pensare che nascondesse qualcosa. Era molto riservato, non voleva mettersi contro nessuno”
Secondo la ricostruzione ufficiale del delitto, il 7 agosto del 1990, in Via Poma 32 a Roma, presso gli uffici degli Ostelli della Gioventù, viene rinvenuto il corpo di una ragazza di soli 20 anni, Simonetta Cesaroni, trucidata con 29 coltellate; la ragazza si trovava lì in quanto impiegata part time presso l’associazione. Negli anni, varie piste alternative si sarebbero accumulate, dando il là a strampalate teorie come quella secondo cui l’assassinio sarebbe legato all’attività criminale di un serial killer trentino, Marco Bergamo.