Reza Ciro Pahlavi II, figlio dell’ultimo Scià di Persia deposto durante la rivoluzione islamica del 1979, è tornato al centro del dibattito internazionale dopo aver dichiarato la propria disponibilità a “servire il popolo iraniano” in un’eventuale transizione democratica del Paese. La sua figura, rimasta per decenni ai margini della politica attiva, riemerge oggi in un contesto segnato dalle tensioni tra Iran e Israele e da una crescente insofferenza interna verso il regime teocratico degli ayatollah.
Reza Ciro Pahlavi II è nato il 31 ottobre 1960 a Teheran, in Iran, all’interno del palazzo di Niavaran, residenza ufficiale della famiglia imperiale. È il primogenito dello Scià Mohammad Reza Pahlavi e dell’imperatrice Farah Diba, sposata dal padre dopo aver ripudiato Soraya. Ha tre fratelli: Farahnaz Pahlavi, Ali Reza Pahlavi (scomparso nel 2011) e Leila Pahlavi (deceduta nel 2001). Dopo l’esilio forzato della famiglia reale a seguito della rivoluzione del 1979, Reza Pahlavi ha vissuto tra gli Stati Uniti e l’Egitto, ricevendo un’educazione di stampo occidentale e militare. Nel 1986 ha sposato Yasmine Etemad-Amini, un’avvocata iraniano-americana. La coppia ha tre figlie: Noor, Iman e Farah Pahlavi, cresciute tra Washington e l’Europa.

In un’intervista rilasciata da giovane, dichiarava già allora di non avere mire dinastiche: “Non mi sveglio ogni giorno dicendo: un giorno sarò re“. Piuttosto, la sua aspirazione era quella di contribuire alla rinascita del suo Paese come figura di equilibrio, eventualmente ritirandosi una volta avviato un processo democratico.
La sua proposta attuale non prevede il ritorno della monarchia, bensì una transizione verso una forma di governo laica, pluralista e rappresentativa. In tal senso, Pahlavi ha più volte affermato di voler essere garante dell’unità nazionale, nel rispetto della volontà popolare. Alcuni analisti, soprattutto in Israele e negli Stati Uniti, vedono in lui una figura aggregante per le forze di opposizione e un potenziale catalizzatore di cambiamento. Tuttavia, il quadro rimane complesso: le opposizioni interne all’Iran sono frammentate, e la figura dei Pahlavi è ancora divisiva, soprattutto tra le nuove generazioni nate dopo il 1979, anno in cui assunse un ruolo centrale la figura dell’Ayatollah Ruhollah Khomeini, leader religioso della rivoluzione islamica del 1979 e fondatore della Repubblica Islamica.
Pahlavi lo ha definito responsabile della “distruzione della monarchia costituzionale” e dell’instaurazione di “un regime oscurantista” fondato sulla repressione e sul terrorismo di Stato, rispetto al quale si è dichiarato fin dall’esilio pronto a lottare.
Anche il governo dello Scià, però, non è ben voluto. Molti ricordano ancora il ruolo della Savak, la polizia segreta del regime dello Scià, accusata di gravi violazioni dei diritti umani. Reza Pahlavi ha riconosciuto l’esistenza di abusi durante il regno paterno, ma ha anche sostenuto che molti degli oppositori di allora si sarebbero poi resi responsabili di atti terroristici nel nuovo regime. Nonostante questo passato ingombrante, ha sempre cercato di presentarsi come distinto dalla figura paterna, sottolineando di non aver mai esercitato il potere e di voler servire l’Iran in un ruolo non autoritario.