Marco Bergamo era il serial killer noto con l’appellativo di Mostro di Bolzano, che tra il 1985 e il 1992 uccise cinque donne, tra le quali tre prostitute. Bergamo, nato a Bolzano l’8 agosto 1966, ebbe un’infanzia segnata da problemi di salute mentale e fisica, e già da ragazzo era conosciuto per le sue strane manie sessuali. Poco prima di essere arrestato, nell’agosto del 1992, l’assassino fu operato per un cancro ad un testicolo (elemento che avrà una sua importanza nel contesto del suo ultimo delitto). Bergamo è morto il 17 ottobre 2017 nel carcere di Bollate dove stava scontando la sua condanna a quattro ergastoli e trent’anni di reclusione. Suo padre Renato si suicidò nel 1994, e sua madre Maria aveva tentato di fare lo stesso.
Sin da ragazzo Bergamo aveva un carattere introverso, accentuato anche da questioni di salute. Dopo il suo arresto, salta fuori che Bergamo è conosciuto come un personaggio a dir poco eccentrico. Collezionista di coltelli, riviste porno, viene visto dai vicini mentre si masturba davanti alla finestra. Inoltre, nel palazzo in cui viveva, in Via Visitazione, spesso spariscono capi di biancheria intima stesi ad asciugare.
Bergamo uccideva le sue vittime a coltellate, sorprendendole alle spalle. La sua prima vittima, nel 1985, fu una sua vicina, Marcella Casagrande, una ragazza di 15 anni, che fu sorpresa in casa sua, accoltellata e poi sgozzata. A trovarla fu sua madre Maurizia Mazzotta, che 30 anni dopo, in un articolo scritto di suo pugno per AltoAdige.it disse: “Sono passati trent’anni dal 3 gennaio 1985. Faceva freddo, un freddo cane. Non ho mai più sentito un freddo così. Mi chiedo, ma come, trent’anni? Marcella è così presente, sempre, ogni giorno, normale. Una scema di psicologa una volta mi ha detto imperiosamente che i morti vanno seppelliti. Che cosa ne sa, di cosa vuol dire seppellire una figlia adolescente. Io sì che lo so. Vuol dire seguire una bara bianca in una macchina nera, che va così lentamente che quasi la vorresti spingere, dai sbrigati che non ce la faccio più.”
Lo stesso anno, il 1985, l’assassino uccise Anna Maria Cipolletti, un’insegnante che si prostituiva, e poi si fermò fino al 1992, anno in cui uccise tre prostitute, Renate Rauch, Renate Troger e Marika Zorzi. Sulla tomba di Renate Rauch, Bergamo portò un mazzo di fiori e un biglietto sul quale aveva scritto:
“Mi spiace ma quello che ho fatto, doveva essere fatto e tu lo sapevi: ciao Renate! Firmato M.M.”
L’omicidio di Marika Zorzi, massacrata con 26 coltellate e scaricata sul ciglio di una strada, fu quello che mise fine all’incubo del Mostro di Bolzano. Un testimone aveva notato una Seat Ibiza rossa allontanarsi dal luogo di ritrovamento del cadavere della ragazza. Alle sei del mattino del 6 agosto 1992 – circa sei ore dopo l’omicidio di Marika – il poliziotto Alessandro Azervo, mentre stava cercando un bar per prendere un caffè insieme ai suoi colleghi, notò una Seat Ibiza rossa con un ragazzo alla guida e decise di fermarla.
Anni dopo Azervo ha raccontato al quotidiano l’Adige.it che Bergamo apparve sin da subito tremante e molto teso. Gli agenti notarono inoltre che il ragazzo aveva dei graffi sulle braccia, che giustificò come conseguenze di una caduta dal motorino. La sua auto, ad un primo esame, presentava il parabrezza rotto dall’interno (probabilmente a causa di una colluttazione avuta con la Zorzi) e accanto al posto del guidatore mancava il sedile del passeggero. “Decidemmo di perquisire la vettura. Nel bagagliaio trovammo le foderine dell’auto inzuppate di sangue, il sedile mancante e la carta d’identità dell’ultima vittima, Marika Zorzi.”
Lo stesso anno in cui fu arrestato, Bergamo fu sottoposto ad un intervento chirurgico per la rimozione di un testicolo, a causa di un tumore. Questo dettaglio è rilevante perché fu proprio lui a parlarne quando raccontò perché aveva ucciso la Zorzi. Dopo aver concordato un rapporto con la ragazza, Bergamo si spogliò e – secondo la sua dichiarazione – la Zorzi lo avrebbe preso in giro proprio per il fatto che gli mancasse un testicolo. “Mi aveva chiamato “mezzo uomo”, a quel punto ho preso un coltello e l’ho colpita”
“Nei sogni, quando colpisco le donne, lo faccio al cuore e alla testa: si uccidono meglio, si centrano gli organi vitali.”
Nel delineare un profilo psicologico di Marco Bergamo, la criminologa Francesca Rosa Capozza spiegò a Il Giornale: “La specificità delle vittime, ovvero donne e prevalentemente prostitute, parla di un odio profondo del Bergamo nei confronti delle donne, sentimento criminologicamente correlato con un rapporto disfunzionale con la propria madre, che rappresenta il prototipo della figura femminile. La cronaca ricostruisce un’infanzia difficile di Bergamo, condita da un ritardo nell’apprendimento del linguaggio, disturbi alimentari e un progressivo senso di introversione, solitudine ed estraneità dal mondo. Il disagio psichico vissuto alimenta una rabbia devastante, che prende la forma (…) in una modalità fortemente sadica di relazione con la donna. Le esperienze sessuali o sentimentali fallimentari acuiscono il senso di inadeguatezza e impotenza esperiti, aggravati dall’asportazione di un testicolo a causa di un tumore che segna negativamente l’immagine che Bergamo ha di se stesso e della propria virilità. Il rifiuto o lo scherno, reale o immaginario, sperimentato nelle sue esperienze pregresse e nei contatti con le vittime, rappresentano la goccia che fa traboccare il vaso del disagio, trasformando Marco Bergamo in un assassino seriale”.
In sede processuale, fu a lungo dibattuto se l’assassino di Bolzano fosse capace di intendere e di volere. Marco Bergamo, che sosteneva di aver ucciso solo tre delle vittime a lui attribuite, fu condannato all’ergastolo.
Nel 2014, Bergamo scrisse alla Corte d’assise d’appello e alla procura di Bolzano, chiedendo una revisione del processo, attraverso l’applicazione retroattiva di una norma che oggi consente a chi accetta il processo abbreviato di scontare trent’anni di carcere, invece dell’ergastolo.
Nell’aprile del 1994, poco dopo la condanna dell’assassino, suo padre Renato Bergamo si suicida impiccandosi nella soffitta della sua abitazione. A trovare il suo corpo fu sua moglie Maria, che era rientrata dopo essere stata a messa. Anche la madre di Bergamo, qualche mese prima, aveva tentato il suicidio. A spingere il padre del serial killer al suicidio, oltre alla vergogna, all’attenzione dei media, probabilmente fu anche la scelta, da parte di Rai3, di trasmettere le riprese del processo di suo figlio. Su Repubblica, il fratello di Marco Bergamo, Luigi, chiese che la messa in onda del processo fosse cancellata.
Marco Bergamo morì nel 2017, mentre scontava la sua pena nel carcere di Bollate.