L’immagine di Irene Pivetti, ex Presidente della Camera dei Deputati, che frequenta la mensa della Caritas può effettivamente spingere a più di qualche riflessione. Un tempo ai vertici delle istituzioni, oggi si trova a fronteggiare una realtà di povertà e difficoltà economiche, dopo un caso giudiziario delicato. Pivetti si è aperta in una lunga intervista a Il Giornale, raccontando la sua difficile quotidianità, fatta di ristrettezze economiche e di un progressivo isolamento sociale.
Eletta nel 1994, a soli 31 anni, come più giovane Presidente della Camera nella storia repubblicana, Irene Pivetti rappresentava una figura di spicco nel panorama politico italiano. Lanciò addirittura una moda con i foulard attorno al collo. La sua carriera, iniziata con la Lega Nord, sembrava destinata a un futuro brillante. Tuttavia, negli ultimi anni, la sua vita ha preso una piega diversa.

Accusata di evasione fiscale e auto riciclaggio per una complessa vicenda legata alla vendita di Ferrari in Cina e ora con un processo per la compravendita di mascherine, Irene Pivetti è stata condannata a quattro anni di reclusione. Un evento, questo, che ha segnato l’inizio della sua discesa, portandola a perdere posizione, credibilità e, infine, i suoi beni.
Pivetti, racconta, ha dovuto vendere i regali di nozze, per far fronte alle spese. Durante il lockdown, la situazione è precipitata, costringendola a rivolgersi alla Caritas per ricevere aiuti alimentari.
“Non nego di essere andata a ritirare i pacchi con cibo in scatola e lattine alla Caritas di San Vincenzo. Poi ho trovato una cooperativa di ex detenuti, la Mac Servizi, in uno scantinato. Mi sono messa a lavorare per loro. Inizialmente facevo le pulizie, poi mettevo in ordine. Ho iniziato come volontaria, e poi mi hanno riconosciuto uno stipendio di mille euro al mese. Quando l’ho ricevuto non potevo crederci. Finalmente avevo i soldi per mangiare“.
Pivetti, in particolare, ha puntato il dito contro la macelleria giudiziaria e contro certa magistratura che non esita a fare “sacrifici umani” e non a “cercare la verità”. Ha quindi paragonato la giustizia italiana a una “macchina fatta per ruzzolare e tirar giù con sé le vite degli altri”.