Il miliardario Elon Musk si è rivelato fondamentale per la vittoria del repubblicano Donald Trump alle presidenziali americane. E allora il prossimo capo della Casa Bianca lo premia, nominandolo, assieme a Vivek Ramaswamy, come leader del nuovo Dipartimento di Efficienza Governativa (Doge). In sostanza, Musk e il collega lavoreranno assieme per snellire la burocrazia e ridurre la spesa pubblica, fiancheggiando il presidente e l’Ufficio di Gestione e Bilancio. Questo ente, va detto, non sarà un’agenzia governativa ufficiale, ma un ufficio esterno. Musk e Ramaswamy identificheranno gli sprechi, taglieranno le spese inutili e faranno in modo di semplificare l’apparato burocratico.
Trump, che ama le dichiarazioni a effetto, ha già parlato di Progetto Manhattan della spesa pubblica. E se pensiamo che il Progetto Manhattan portò alla realizzazione della bomba atomica, possiamo facilmente intuire che i tagli saranno tanti. Con ogni probabilità, in settori cruciali come difesa, previdenza e programmi sanitari. La data prevista per la realizzazione di questo nuovo piano è il 2026, in occasione del 250.mo anniversario dell’Indipendenza.
L’opinione pubblica nazionale, a partire dagli oppositori di Trump, e quella internazionale, però, non staranno a guardare. Perché Musk è CEO di aziende come Tesla e SpaceX, che hanno importanti contratti governativi. Ed è anche il proprietario di quello che un tempo fu Twitter, X. Uno strumento potentissimo in ambito comunicazione che, dall’arrivo di Musk, è diventato ancora più strategico per i politici della destra radicale. E per questo pericoloso. C’è il rischio, insomma, di un conflitto d’interesse bello e buono. Tuttavia, Trump sembra determinato ad andare avanti, col pugno di ferro dei nuovi sodali.
Se Ramaswamy, ex candidato alle primarie repubblicane, ha già proposto la chiusura di agenzie come FBI (la polizia federale) e il Dipartimento dell’Istruzione, Musk ha suggerito di ridimensionare l’apparato governativo, licenziando il personale inefficiente, con pacchetti di uscita generosi.
L’ultima parola spetterà al Congresso che dovrà approvare qualsiasi riforma strutturale.