La terribile esplosione avvenuta nella notte tra lunedì 13 e martedì 14 ottobre 2025 a Castel d’Azzano, nel veronese, che ha causato la morte di tre carabinieri, Marco Piffari, Davide Bernardello e Valerio Daprà, durante un’operazione di sgombero, era un epilogo drammatico già annunciato. I protagonisti di questa vicenda, Franco e Maria Luisa Ramponi, avevano già minacciato lo stesso gesto folle esattamente un anno prima, nel novembre 2024, quando si erano barricati nella loro azienda agricola centenaria pronti a far esplodere tutto.
In quell’occasione, il 18 novembre 2024, i due fratelli avevano reso esplicite le loro intenzioni suicide collettive. Si erano arrampicati sul tetto dell’edificio con una tanica di benzina, dopo aver riempito di gas tutte le stanze della struttura, chiudendo ermeticamente porte e finestre. “Eravamo disposti a farci saltare aprendo il gas; la casa ne era piena. D’altronde è quello che vogliono“, aveva dichiarato Maria Luisa ai soccorritori, riferendosi alle autorità giudiziarie che stavano procedendo con lo sfratto.

L’intervento tempestivo dei vigili del fuoco e dei carabinieri aveva scongiurato la tragedia. I fratelli furono recuperati con delle scale aeree e messi in salvo, mentre i locali venivano arieggiati e bonificati. Ma quella fu solo una tregua temporanea in una storia di disperazione familiare e debiti che affondava le radici in eventi risalenti a oltre dieci anni prima.
Secondo la ricostruzione fornita da Maria Luisa Ramponi, l’origine del dramma risale al 2014, quando un terzo fratello, Dino, avrebbe stipulato un mutuo falsificando la firma di un familiare per coprire una serie di debiti accumulati nel tempo. La situazione sarebbe rimasta nascosta fino al 2019, quando il responsabile avrebbe ammesso tutto ai parenti, decidendo poi di autodenunciarsi alle forze dell’ordine nel 2021.
Le conseguenze legali e finanziarie di quella falsificazione furono devastanti per l’intera famiglia. Nel frattempo era scattato il pignoramento di edifici e terreni dell’azienda agricola dove Franco e Maria Luisa vivevano e lavoravano, dedicata alla coltivazione di cereali. Fu nominato un custode giudiziario e si susseguirono diverse aste giudiziarie che, sempre secondo la versione della sorella, avrebbero portato a una svendita del patrimonio familiare, con immobili e terreni deprezzati rispetto al loro valore reale.
Per i fratelli Ramponi, quella proprietà non rappresentava solo un bene immobiliare, ma l’eredità di generazioni, il frutto del lavoro di una vita e l’identità stessa della famiglia. La prospettiva di perdere tutto a causa di una frode compiuta da un parente si era trasformata in un’ossessione che li aveva portati a considerare l’autodistruzione come unica via d’uscita.
Il tentativo del novembre 2024 avvenne in occasione di un primo tentativo di sfratto. I fratelli avevano avvertito che non se ne sarebbero andati e che erano pronti a tutto pur di non lasciare la proprietà. Portarono con sé sul tetto non solo la tanica di benzina, ma anche il necessario per appiccare il fuoco, dimostrando una determinazione lucida e premeditata nel loro gesto estremo.
La stessa scena si è ripresentata la scorsa notte. In questo caso, l’esplosione, probabilmente causata dall’attivazione volontaria di bombole di gas, ha provocato la morte dei tre militari dell’Arma impegnati nell’operazione e il ferimento di altre tredici persone tra forze dell’ordine e soccorritori.
I fratelli Ramponi sono stati tutti fermati.