In Giappone la generazione silenziosa è quella fascia di giovani, di età compresa fra i 20 e i 30 anni, che odia le conversazioni telefoniche. E anche la sola di idea di ricevere una chiamata e di rispondere, provoca in loro un’ansia difficilmente gestibile. Il fenomeno, che si chiama muon-sedai, è molto rilevante nella terra del Sol Levante. E a quanto pare dai dati raccolti da un’azienda specializzata in sondaggi, condotti tramite intelligenza artificiale, coinvolge il 70% della popolazione tra i 20 e i 30 anni appunto.
I giovani nipponici, dunque, non amano comunicare al telefono, ma a voce e in prima persona. Se la conversazione è mediata dallo smartphone, la loro preferenza va alle app di messaggistica istantanea. Non è un caso che su treni e metropolitane, dove peraltro le telefonate sono vietate, le ragazze e i ragazzi siano costantemente con il naso fisso sui loro cellulari.
Sono tanti i fattori che influenzano questo modo di agire. Sicuramente un elemento importante è il culto della privacy, molto caro ai giapponesi, ma c’è anche la paura di non capire quanto detto dall’interlocutore. Alcuni pensano che il muon-sedai sia amplificato proprio dalla diffusione esponenziale di modi meno diretti di parlare, ugualmente validi. Una diffusione tale da inibire la capacità di conversare al telefono, aumentando il senso di emarginazione dei diretti interessati.
Il Giappone è una nazione molto particolare per quanto riguarda l’organizzazione e i riti sociali. I giapponesi, infatti, hanno sempre dato un’idea di grande riservatezza e di minimalismo. Che a volte raggiunge anche livelli patologici o estremamente disfunzionali. Il Giappone, infatti, è anche la patria degli hikikomori, quei ragazzi che volontariamente scelgono di ridurre la propria vita sociale. A volte, isolandosi nelle proprie abitazioni. Il tutto come ribellione a una società che preme troppo, fin dall’adolescenza, verso l’autorealizzazione e il successo personale.