Il primo ministro britannico Keir Starmer ha annunciato poche ore fa che il Regno Unito riconoscerà ufficialmente la Palestina come Stato entro settembre 2025, durante l’Assemblea generale delle Nazioni Unite, a meno che Israele non adotti misure concrete per migliorare la situazione umanitaria a Gaza. Questa decisione segna un momento cruciale nella diplomazia britannica e riaccende i riflettori sul ruolo storico di Londra in quello che rappresenta uno dei conflitti più lunghi del XX e XXI secolo.
La connessione tra Regno Unito e questione palestinese risale ai primi decenni del Novecento, quando le dinamiche geopolitiche del Medio Oriente si intrecciarono con gli interessi dell’Impero britannico. Durante la Prima Guerra Mondiale, mentre l’Impero Ottomano si sgretolava, la Gran Bretagna iniziò a tessere una complessa rete di alleanze e promesse contraddittorie che avrebbero segnato il destino della regione.
Nel 1917, il ministro degli Esteri Arthur Balfour indirizzò una lettera ufficiale a Lord Rothschild, promettendo agli ebrei un “focolare nazionale” in Palestina:
“Il governo di Sua Maestà vede con benevolenza l’istituzione in Palestina di una National Home per il popolo ebraico“.
Questa dichiarazione, divenuta nota come Dichiarazione Balfour, rappresentò un punto di svolta fondamentale, poiché per la prima volta una grande potenza europea si impegnava formalmente a sostenere le aspirazioni sioniste.
Contemporaneamente però, gli inglesi avevano già intrapreso negoziati con i leader arabi, promettendo loro l’indipendenza in cambio del sostegno militare contro l’Impero Ottomano. Questa doppia diplomazia creò le premesse per tensioni future, poiché le promesse fatte alle due parti risultavano incompatibili tra loro.

La Dichiarazione Balfour fu successivamente incorporata nel trattato di Sèvres, che stabiliva la fine delle ostilità con la Turchia e assegnava la Palestina al Regno Unito attraverso il mandato della Palestina. Dal 1920 al 1948, la Gran Bretagna amministrò il territorio palestinese sotto il mandato della Società delle Nazioni, un periodo caratterizzato da crescenti tensioni etniche e religiose.
Durante questi trent’anni, la popolazione della regione cambiò drasticamente. Secondo un censimento britannico del 1917, il 92% della popolazione era “araba” e l’8% ebrea, mentre nel 1922 la composizione era del 78% musulmani, 10% cristiani e 11% ebrei. L’immigrazione ebraica, favorita dalle politiche britanniche, alterò progressivamente gli equilibri demografici, generando resistenze sempre più organizzate da parte della popolazione araba locale.
Le autorità britanniche si trovarono così intrappolate tra le proprie promesse contraddittorie e le crescenti rivendicazioni di entrambe le comunità. Le rivolte arabe del 1936-1939 rappresentarono il culmine di questa tensione, costringendo Londra a rivedere le proprie politiche migratorie e a cercare soluzioni di compromesso che però non soddisfecero nessuna delle parti in causa.
E oggi? Spagna, Irlanda, Norvegia e, il prossimo settembre 2025, la Francia, hanno già riconosciuto la Palestina nel maggio 2024, motivando la scelta con il peggioramento della situazione umanitaria a Gaza. Il possibile riconoscimento britannico assumerebbe quindi un significato particolare, considerando il ruolo storico del Regno Unito nella genesi del conflitto israelo-palestinese.
Questa potenziale svolta diplomatica rappresenta un tentativo di correggere, almeno parzialmente, le conseguenze di decenni di politiche contraddittorie che hanno contribuito a creare e perpetuare uno dei conflitti più complessi della storia contemporanea.