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Home » Cultura » Ritratti inquietanti, una mente irrequieta e un finale tragico: chi era davvero Diane Arbus?

Ritratti inquietanti, una mente irrequieta e un finale tragico: chi era davvero Diane Arbus?

Inquietante, empatica, rivoluzionaria. Diane Arbus ha saputo ridefinire il ritratto, catturando l'anima e le imperfezioni del genere umano.
Chiara SeriolaDi Chiara Seriola26 Luglio 2025
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Diane Arbus
Diane Arbus (fonte: L'ArtMajeur)
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Tra i nomi dei fotografi più ricercati del XX secolo spunta sicuramente il nome di Diane Arbus, nota per i suoi ritratti in bianco e nero (suggestivi e spesso controversi) di persone che vivevano ai margini della società. Nata a New York il 14 marzo 1923 da una famiglia benestante, fin da subito la sua curiosità e la sua irrequietezza la spinsero a frequentare gli ambienti raffinati di quel tempo. Il suo talento artistico emerse già ai tempi del liceo, realizzando disegni e dipinti molto interessanti. Nel 1941 sposò Allan Arbus, un attore americano che le insegnò l’arte della fotografia.

Iniziò così una collaborazione tra i due e ottennero molto successo nel campo della moda. Alla fine degli anni ’50 però trovò la sua vera vocazione, guidata dagli insegnamenti della Lisette Model. Arbus si liberò delle restrizioni commerciali e iniziò a vagare per le strade di New York alla ricerca della vera essenza dell’umanità. Era ossessionata da artisti circensi, freaks, transessuali, nudisti, gemelli. Il suo interesse non era il sensazionalismo, ma la ricerca dell’autenticità e della normalità in coloro che venivano etichettati come diversi.

Diane Arbus gemelle identiche
Diane Arbus, le gemelle identiche, dettaglio (fonte: Public Delivery/ ph. Diane Arbus)

Molte fotografie presentano i soggetti che guardano direttamente in macchina. Uno degli scatti più famosi è quello delle gemelle Cathleen e Colleen Wade (che a quanto pare ispirò le famose gemelle del film Shining di Kubrick). Seppur siano identiche ad un primo sguardo, più le osserviamo e più possiamo notare le loro sfumature e la loro individualità. Il suo lavoro sfidava le nozioni convenzionali di bellezza e normalità, offrendo una prospettiva unica sull’esperienza umana. Dedicava spesso molto tempo a conoscere i suoi soggetti, instaurando un rapporto di fiducia e intimità che le permetteva di catturare la loro vera essenza. Catturare soggetti trascurati o stigmatizzati, le ha permesso di creare una potente narrazione visiva che continua ad affascinare e provocare il pubblico ancora oggi.

Le sue fotografie non sono semplici scatti. Non c’era giudizio nei suoi occhi, ma una profonda empatia e un desiderio di comprendere la singolarità di ogni individuo. I volti catturati sono diretti, vulnerabili, beffardi, ma mai oggetti di pietà. Ci fissano e noi siamo costretti a guardarli, invitandoci ad andare oltre al loro aspetto esteriore. La sua carriera fu intensa ma tragicamente breve. La depressione non le lasciò godere il successo e nel 1971 si tolse la vita a soli 48 anni. La sua eredità rimarrà però nei suoi scatti fino a che ce ne sarà memoria. Ci ha insegnato che la verità, anche se scomoda, può essere la forma di bellezza più potente, invitandoci a riflettere su cosa significhi realmente essere normali.

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