L’arte riesce nella difficile missione di rendere gli amori e chi li ha vissuti immortali. Per questo motivo, probabilmente, Franz Kafka ha scritto Lettera a Milena, la testimonianza di un sentimento allo stato embrionale e, quindi, nel pieno delle sue possibilità ancora non espresse per la giornalista e traduttrice Milena Jesenská. I due si conoscono a Praga prima che il mondo esploda nella follia della Seconda guerra mondiale. Per lo scrittore Milena è una sorta di musa insperata, “fuoco vivo come non è mia visto“. Il carteggio, pubblicato negli anni Cinquanta, però, non consegna un’immagine nitida di questa figura femminile.
Piuttosto rimanda quella di Kafka, che continua a specchiarsi all’interno di questo rapporto rimasto fondamentalmente incompiuto. Per conoscere meglio la figura di Jesenská, invece, è consigliato fare riferimento a Milena, il libro scritto da dall’amica Margarete Buber-Neumann, la comunista tedesca che con lei aveva condiviso l’esperienza del campo di concentramento femminile, ma, al contrario, non vi aveva trovato la morte.
I molti volti di Milena
Nata a Praga nell’agosto del 1896, ha avuto la capacità di rappresentare diverse donne nell’arco della sua breve vita, dando voce alle molte passioni che l’hanno animata. Per prima cosa, ad esempio, è stata una studentessa modello, diplomandosi presso il primo liceo classico femminile europeo. A riempire le sue giornate c’è la lettura, in particolare le opere di Dostoevskij, Wilde e Byron. I suoi interessi, però, non si limitavano alle pagine dei romanzi. A muoverla, infatti, è soprattutto un’infinita curiosità nei confronti della vita e la volontà di poter conoscere tutto il possibile.
Fonte d’ispirazione, in questo senso, è l’insegnante Albína Honzáková, una delle prime donne ceche a essere laureate in filosofia. Sotto la sua spinta Milena inizia a scorgere un futuro diverso per le donne in cui non sono più relegate al ruolo esclusivo di madri e mogli. A questo si aggiunge il suo modo di vestire e comportarsi che gli vale il titolo di “anticonformista”. Nonostante tutta questa indipendenza d’animo, però, non riesce a contrastare fino in fondo le aspettative sociali. Così, invece di iscriversi a Filosofia e letteratura, sceglie Medicina per seguire le orme del padre, l’illustre chirurgo dentale praghese Jan Jesensky.
Gli anni della ribellione
La forza di un animo libero, però, non può rimanere imbrigliata per troppo. Ecco, dunque, che dopo solo un semestre Milena decide di abbandonare gli studi per sposare l’intellettuale ebreo Ernst Pollak, che ha conosciuto nei circoli letterari di Praga. Una decisione, questa, che scatena le ire del padre, antisemita e nazionalista. Assolutamente contrario alla loro unione, arriva addirittura a rinchiudere la figlia in una clinica psichiatrica. Tutti ostacoli, comunque, che rafforzano l’ostinazione e la convinzione della giovane donna. Così, a soli 24 anni, arriva a Praga insieme al marito.
Qui inizia a fare qualsiasi lavoro legato alla scrittura per mantenersi scrivendo, in particolare, articoli di moda, arredamento e cucina. Più tardi, poi, approda al quotidiano Tribuna, dove si fa notare per le sue analisi sociologiche. Sempre in questo ambito, poi, inizia anche l’attività di traduttrice dal tedesco, dal francese e dall’inglese.
L’incontro con Kafka
Il primo incontro con Kafka si deve proprio all’attiva di traduttrice. Nel 1919, infatti, legge il racconto Il fuochista. Ne rimane così colpita da prendere l’iniziativa scrivendo allo scrittore per proporgli una traduzione dal tedesco al cieco. Per questo motivo, dunque, inizia una fitta corrispondenza dai toni sempre più appassionati. Nonostante l’evidente fascinazione, però, Milena dimostra di essere una donna concreta. Abbandonarsi ad un rapporto con Kafka, infatti, avrebbe messo in pericolo tutta la sua esistenza, dal punto di vista professionale e personale. Oltre a questo, poi, non se la sente di legarsi ad un uomo, stando a quanto detto da lei, solo e malato che si sente colpevole di tutto. Nonostante tutto, però, rimane fedele a Kafka a suo modo, continuando a tradurre le sue opere e a custodire i diari che lui stesso gli affida nel tempo.
L’angelo degli ebrei
Con questo appellativo Milena Jesenská è stata conosciuta negli ultimi anni della sua vita. Diventata una giornalista affermata, decide di divorziare dal primo marito ma cade nella trappola del ruolo famigliare con un altro compagno, dal quale ha una figlia. In questo periodo, inoltre, la sua salute comincia a vacillare incidendo anche sul successo ottenuto in campo professionale. A renderla più fragile sono i dolori articolari e, in modo particolare, l’uso della morfina di cui è diventata dipendente.
Nonostante tutto il suo impegno sociale e politico non vacilla. Per prima cosa decide di allontanarsi dal partito comunista, riscontrando la pericolosità della deriva staliniana. Il passo successivo, dunque, è quello di diventare una strenua oppositrice di quel sistema. Per questo morivo ospita nella sua casa numerosi profughi provenienti dalla Russia e dalla Germania, organizzando anche una rete di salvataggio per ebrei, ex detenuti e rifugiati.
La sua esperienza personale la porta a scrivere degli articoli sulla prestigiosa rivista liberal democratica ceca Přítomnost (Presente), documentando l’avanzata dei nazisti e raccontando la condizione di coloro che lei definiva “le vittime in vita”, ossia coloro cui veniva negato qualsiasi tipo di diritto. Per questo motivo, quando i tedeschi entrano a Praga decide di non fuggire ma è consapevole che il suo destino è segnato. Milena Jesenská, infatti, viene arrestata, dapprima incarcerata e poi deportata, nell’ottobre del 1940, nel campo di concentramento femminile di Ravensbrück. Qui rimane prigioniera per quattro anni, fino alla morte, avvenuta il 17 maggio del 1944. Grazie alla testimonianza dell’amica Margarete Buber, però, è stata rimandata l’immagine di una donna che non si è lasciata schiacciare nemmeno dall’esperienza del campo di concentramento. Anzi, in una condizione così estrema, è tornata ad essere la ragazza ribelle capace di costruire una rete interna per sostenere tutte le altre donne.