Il concetto di “Banalità del male” è stato introdotto dalla filosofa e politologa tedesca Hannah Arendt nel suo libro “La banalità del male: Eichmann a Gerusalemme” del 1963. La Arendt svilupa questa idea dopo aver seguito il processo a Adolf Eichmann, un ufficiale delle SS e uno dei principali responsabili della logistica dello sterminio degli ebrei durante la Seconda Guerra Mondiale. Il libro, basato sui suoi reportage per il “New Yorker”, diventa uno dei testi più influenti del XX secolo nel campo della filosofia politica e della riflessione sull’Olocausto. Ma quali sono gli eventi storici cha hanno portato alla sua stesura?
Nel 1960, Adolf Eichmann viene catturato dal Mossad in Argentina e portato in Israele per essere processato per crimini di guerra e contro l’umanità. Il suo processo si svolge a Gerusalemme tra il 1961 e il 1962 suscitando un enorme interesse internazionale. Eichmann, infatti, è stato uno degli esecutori materiali della “Soluzione Finale”, l’operazione nazista per l’eliminazione degli ebrei d’Europa. Durante il processo, però, si presenta come un burocrate che ha semplicemente eseguito ordini senza alcuna particolare convinzione ideologica.

Arendt, che aveva già scritto ampiamente sui totalitarismi, assiste al processo e rimane colpita non tanto dalla malvagità personale di Eichmann, quanto dalla sua apparente mediocrità. Lontano dall’essere un mostro sanguinario, l’uomo appare come un individuo ordinario, privo di profondità intellettuale e incapace di riflessione critica. Si difese ripetutamente dicendo di aver agito per dovere e di aver semplicemente seguito la legge. Questa apparente mancanza di autonomia morale, dunque, è il punto di partenza della riflessione di Arendt sulla “banalità del male”.
Un’ espressione che sottolinea come il male possa essere commesso non solo da individui sadici o crudeli, ma anche da persone comuni, che agiscono senza riflettere sulle conseguenze delle loro azioni. Eichmann, infatti, non appare come un fanatico nazista, ma piuttosto come un uomo che ha interiorizzato un sistema di regole senza mai metterlo in discussione.
Secondo la Arendt, questo tipo di male è “banale” nel senso che non ha radici profonde nella psicologia dell’individuo, ma deriva piuttosto da una mancanza di pensiero critico. Eichmann, infatti, non è un pensatore indipendente, non mette in discussione il sistema a cui appartiene e non si chiede se ciò che ha fatto sia giusto o sbagliato. Questo lo rende ancora più pericoloso, perché il suo atteggiamento può essere facilmente replicato da chiunque sia disposto a obbedire ciecamente a un’autorità.