200 anni fa, al Theater am Kärntnertor di Vienna, veniva suonata per la prima volta la Sinfonia n.9 di Ludwig van Beethoven, l’ultima opera del compositore tedesco. Un capolavoro immortale che il maestro scrisse nonostante la sua sordità. Com’è riuscito a creare una delle opere più belle al mondo se non riusciva a sentire i suoni? Sicuramente la memoria delle note ha avuto un ruolo chiave. Tuttavia, furono altrettanto importanti degli strumenti costruiti per lui.
Secondo quanto testimoniano alcune fonti storiche, l’amico e inventore del metronomo, Johann Nepomuk Mälzel realizzò per lui un cornetto acustico che permetteva a Beethoven di ascoltare meglio. Si parla anche della costruzione di una grande scatola che il compositore appoggiava sul pianoforte e che amplificava i suoni. Ma lo strumento più noto era una bacchetta di ottone che Beethoven stringeva tra i denti, mentre la posizionava sulla cassa armonica dello strumento. Le vibrazioni gli davano la giusta percezione del suono. L’ottone, infatti, ha notevoli proprietà acustiche.
Alcuni studi dimostrano però come Beethoven non si appoggiasse solamente agli strumenti per limitare i danni dell’assenza di udito, ma facesse ricorso a dei calcoli matematici che gli permettevano di memorizzare la relazione tra tonalità di note differenti. Questa capacità di immaginare la musica portò in qualche modo alle vette toccate dai suoi ultimi lavori, composti quasi seguendo l’onda irrazionale di una musica nuova.
Beethoven iniziò a prendere coscienza della sordità prima dei trent’anni. Divenne totalmente sordo nel 1820, all’età di 50 anni. E nel 1822 inizi a comporre la Sinfonia n. 9. Non si è mai avuta certezza delle cause della sordità. Si è parlato di labirintite cronica o di varie patologie ossee. Anche delle conseguenze del tifo addominale che colpì il compositore nel 1797. In tempi recenti, anche di avvelenamento da piombo. Pare infatti che Beethoven bevesse il vino in coppe di piombo, avvelenandosi inconsapevolmente. Beethoven nascose la sua malattia finché possibile. Egli non percepiva distintamente né voci né suoni e riusciva appena a udire ciò che suonava stringendo tra i denti, appunto, la sbarretta di metallo.