L’11 aprile 1987 venne ritrovato a Torino il corpo senza vita dello scrittore Primo Levi, alla base della tromba delle scale del palazzo in cui abitava: l’ipotesi ufficiale è che egli si sia lanciato nel vuoto. A 38 anni da questo tragico evento, cerchiamo di capire cosa sia successo esattamente quel giorno e ricordiamo il contributo di questo straordinario autore e partigiano italiano, nonché superstite dell’Olocausto.
Primo Levi nasce nel 1919 a Torino da una famiglia di ebrei piemontesi di origini spagnole e provenzali; cagionevole di salute ma assai diligente a scuola, durante il liceo sviluppa un grande interesse per la chimica, campo in cui spera di intraprendere una carriera lavorativa. È proprio alla facoltà di chimica dell’università di Torino che si iscrive dopo il diploma, giusto un anno prima dell’entrata in vigore delle leggi razziali in Italia che gli creano non poche difficoltà ma non gli impediscono di conseguire la laurea con lode, nel 1941.
L’anno seguente Levi si trasferisce a Milano per lavorare presso una ditta di prodotti farmaceutici; in questo periodo entra in contatto con gli ambienti antifascisti milanesi e diventa membro del Partito d’Azione. Dopo l’armistizio di Cassibile del 1943 si sposta in Val d’Aosta per militare in un nucleo partigiano in Col de Joux, ma il 13 dicembre dello stesso anno viene arrestato dalle milizie fasciste: dichiaratosi ebreo, viene trasferito nel campo di concentramento di Fossoli, in provincia di Modena; da qui, stipato in un treno merci insieme ad altri 650 ebrei, il 22 febbraio 1944 viene portato ad Auschwitz.

La prigionia di Levi al campo di Auschwitz (più precisamente a Buna-Monowitz, noto anche come Auschwitz III), dura quasi un anno, durante il quale riesce a sopravvivere grazie a una conoscenza di base del tedesco, all’incontro con alcuni prigionieri e impiegati italiani e alle sue competenze di chimico, che gli consentono di trovare un impiego in una fabbrica di gomma sintetica. Contratta la scarlattina appena prima della liberazione del campo da parte dell’Armata Rossa, viene abbandonato dai tedeschi insieme agli altri malati, scampando così alla marcia della morte in cui molti prigionieri perdono la vita.
Dopo la Liberazione Levi fa ritorno in Italia, dopo un lungo e travagliato viaggio che racconterà nel romanzo La Tregua; dopo aver ricontattato gli amici e parenti superstiti, egli trova lavoro in una fabbrica di vernici, ma si dimette nel 1947 per dedicarsi a un libro in cui racconta gli orrori e la crudeltà subiti durante la prigionia: Se questo è un uomo, uno dei primi memoriali di un sopravvissuto dei campi di sterminio nazisti, è pubblicato nello stesso anno da una piccola casa editrice, ma vende solo 1500 delle 2500 copie stampate nonostante un buon successo di critica.
Nel 1958 la Einaudi, che in precedenza si era rifiutata di pubblicare il libro, cambia idea presentandone una nuova edizione con una introduzione aggiuntiva: Se questo è un uomo ottiene infine il successo sperato e viene tradotto in varie lingue con il contributo dello stesso Levi. Nel 1963 egli pubblica La Tregua che viene anch’esso accolto positivamente, incoraggiandolo a proseguire la sua carriera letteraria con varie opere, tra cui la raccolta di racconti Il Sistema Periodico; non smetterà mai di raccontare la sua esperienza di sopravvissuto, non solo nei suoi libri ma anche nel corso di numerosi incontri pubblici e cerimonie commemorative.
Sono in molti a sostenere che sia stato proprio il peso insopportabile del suo tragico passato a spingerlo a togliersi la vita l’11 aprile 1987, lanciandosi dalla tromba delle scale del palazzo di Corso Umberto in cui era nato e aveva trascorso gran parte dei suoi anni; c’è però anche chi sospetta che si sia trattato di un incidente, e siano state le vertigini di cui soffriva da sempre a provocare la caduta. La verità non si saprà mai con certezza, ma resta comunque indelebile il ricordo di un illustre autore e coraggioso testimone di uno degli orrori più grandi di cui l’umanità si sia mai macchiata.