Il 21 giugno del 1527 muore a Firenze lo statista e scrittore Niccolò Machiavelli. Un autore che ha legato il suo nome a un libro come Il Principe, raffinata indagine politica dedicata all’arte del governo. Un’opera talmente puntuta e intelligente da aver fatto nascere il termine Machiavellico. Un aggettivo usato in senso dispregiativo per parlare di persone caratterizzate da astuzia, doppiezza o malafede. Insomma, dici Machiavelli (ergo machiavellico) e pensi a qualcosa di negativo. Ma è davvero così? Sì e no.
La “colpa” di questo qui pro quo che ha trasformato il Niccolò di Bernardo dei Machiavelli in un re del male deriva da una frase che gli è stata attribuita. Quale?
“Il fine giustifica i mezzi“.
Il motto, dunque, riassume le azioni di qualcuna o qualcuno che non si ferma davanti a niente pur di compiere la sua missione. E quindi opera in maniera talvolta illegale e senza scrupoli. Il problema è che Machiavelli questa frase non l’ha mai pronunciata in questa maniera così brutale e sintetica.
Nella sua dottrina politica, in effetti, teorizzava la superiorità della ragion di Stato rispetto all’etica, ma in maniera più ampia. E sempre per questioni politiche più generali, relative al bene comune. Non certo come capriccio del singolo.
Segretario della Cancelleria della Repubblica di Firenze, nei periodi più turbolenti della città, Machiavelli aveva invece detto:
“Nelle azioni di tutti gli uomini, e massime de’ Principi si guarda al fine. I mezzi saranno sempre iudicati onorevoli e da ciascuno lodati“
Ovvero, conta il fine ultimo della politica, la forza di uno Stato. Se verrà tutelato, allora ogni mezzo sarà giudicato come positivo. Questo non è esattamente l’equivalente di “se vuoi una cosa prendila”.
Nel tanto vituperato Il Principe, dedicato a Cesare Borgia, inoltre, Machiavelli parlava di un principe come di una guida pietoso e non crudele. Pur dotato di intelligenza tale da comprendere quando non essere pietoso.