Le notizie sono due. Una sostanziale. Ovvero il divieto, discusso lunedì scorso, nell’assemblea generale dei vescovi, da parte di Papa Francesco di ammettere nei seminari dei candidati dichiaratamente omosessuali. La seconda, lessicale. Ovvero il termine usato dal pontefice per esprimere questo concetto: “C’è già troppa frociaggine“. Uno scivolone volgare per una gaffe che è stata minimizzata. Questo perché l’italiano non è la lingua madre del santo padre. Ma cosa vuol dire frociaggine e da dove nasce la parola “frocio”? Si tratta di un termine volgare romanesco che si riferisce a una persona omosessuale. Un insulto a tutti gli effetti, insomma, che non abbiamo intenzione di avallare, ma solo di spiegare. L’etimologia non è del tutto chiara, ma alcune ipotesi rimandano a una storpiatura del termine français, francese, diventato fronscè. Parola che allude in primis alle truppe napoleoniche scese a Roma all’inizio dell’800. E, successivamente, a un uomo omosessuale.
Tra le altre ipotesi si parla del tedesco frostch, ranocchio, sempre usato come epiteto offensivo. E della parola feroce, associata ai Lanzichenecchi, responsabili del sacco di Roma del 1527.
Essi, infatti, erano particolarmente brutali, violentando donne e uomini senza distinzione. E dopo, mostravano particolare predilezione per le sbornie, che ingrossavano e allargavano le froge del loro naso. A proposito di froge, un’altra lettura ci parla della “fontana delle froge” (le narici appunto), un luogo dell’antica Roma dove molti omosessuali erano soliti radunarsi. Per qualche studioso il riferimento potrebbe anche essere la parola spagnola flojo, ovvero floscio.
Il termine frocio si allarga poi a quello usato dal papa, ovvero frociaggine. Lemma che racchiude tutta quella serie di atteggiamenti che possiamo riassumere in mancanza di mascolinità, di forza, di energia sessuale. Quindi sempre con volontà denigratoria e mai gentile.
Diverso discorso, ovviamente, dobbiamo fare quando la parola si usa all’interno della stessa comunità queer con intento ironico e autoironico. Memorabile, in tal senso, è la battuta pronunciata da Ennio Fantastichini in Saturno contro di Ferzan Özpetek, quando il personaggio da lui interpretato, rifuggendo da ogni tentativo di politicamente corretto, esclama con orgoglio “Gay? Nooo, io sono frocio!“.
Anche in Boris 3 la parola “frociaggine” compare in maniera spassosa, nel momento della Locura, con Valerio Aprea e Francesco Pannofino.
A livello letterario, Pierpaolo Pasolini era solito scrivere la parola “frocio” o “froscio”, per esempio nei romanzi Ragazzi di vita e Una vita violenta. Essa è presente negli scritti di Aldo Busi e Alberto Arbasino. E di Pier Vittorio Tondelli. In questo caso, va detto, il termine è connesso alla veridicità della storia e all’universo dei personaggi.
Una sentenza della Cassazione del 2021 ribadisce che riferirsi a qualcuno definendolo “frocio”, integra il reato di diffamazione.