C’è chi nasce per far stupire, attraverso il suo sguardo, intere generazioni. Henri Cartier-Bresson, un uomo, un’icona. Colui che ha trasformato la fotografia in una vera e propria filosofia di vita. Attraverso un immaginario in bianco e nero, al suo cuore candido non interessava la perfezione, ma l’autenticità della vita vissuta. Presenza discreta, in punta di piedi, aspettando il momento giusto, attenzione e… punta e scatta! Il risultato? In ogni fotografia un colpo di genio.
Nato nel 1908 a Chanteloup-en-Brie, vicino a Parigi, Henri cresce in una famiglia dell’alta borghesia francese. Da giovane studia pittura, avvicinandosi alla corrente artistica del Surrealismo. A far scattare il colpo di fulmine per il mondo fotografico è stata una fotografia di Martin Munkacsi: «è stata quella foto a dar fuoco alle polveri, a farmi venir voglia di guardare la realtà attraverso l’obiettivo». E nel 1932 si celebrò l’unione definitiva, comprando una Leica 35 mm con lente 50 mm che l’accompagnerà per molti anni. Ma non abbandonò mai del tutto l’occhio da pittore. I suoi scatti sembrano infatti studiati al millimetro, con linee, proporzioni e simmetrie perfettamente armoniose.

Per Cartier-Bresson il cuore della sua poetica fotografica era l’istante decisivo. In quel momento, infatti, tutto si incastra alla perfezione ed ogni cosa assume un significato scolpito nel tempo. Un attimo congelato nell’inarrestabile fluire della vita, senza nessuna forzatura, senza nessuna messa in scena, senza forzare l’incanto del momento. Era semplicemente il mondo nel suo splendore spontaneo.
La carriera fotografica di questo grande fotografo è stata incredibile. La sua Leica ha immortalato diversi scenari mondiali, tra cui la guerra della Cina rivoluzionaria, le tensioni tra URSS e Usa, la guerra civile spagnola, anche la nostra bella Italia. Celebre è stato il suo reportage sul funerale di Gandhi, con la fine del colonialismo e delle antiche potenze europee in India. La caratteristica principale del linguaggio fotografico di Cartier-Bresson era la completa onestà verso il suo lavoro e la grande dignità che garantiva ai soggetti coinvolti, senza mai cercare il sensazionalismo. Raccontava i fatti con uno sguardo umano, senza imporre giudizio. Nel 1947 partecipa alla fondazione della celebre agenzia Magnum, punto di riferimento ancora oggi per il fotogiornalismo etico internazionale.

Cartier-Bresson non amava di certo essere al centro dell’attenzione, come nella sua attitudine fotografica. Non voleva nemmeno essere chiamato “fotografo”! Si considerava infatti un osservatore, una persona che “aspettava e scattava”. Quando nel 2004 morì, il suo lascito non fu solamente migliaia di fotografie, ma un nuovo modo di guardare alla realtà. Il suo stile continua a influenzare lo sguardo di nuove generazioni di fotografi e ci ricorda che in un universo social in cui si scattano continuamente immagini “usa e getta”, la vera fotografia – l’umanità insita in essa – esiste ancora ed è racchiusa ogni volta che riguardiamo i suoi scatti.