Il 22 aprile di 41 anni fa, il CDC (Center for Disease Control and Prevention) dichiarò pubblicamente che il virus HIV, isolato l’anno precedente, era la causa dell’AIDS (Sindrome da Immunodeficienza Acquisita), malattia del sistema immunitario che già da diversi anni era oggetto di studio da parte degli scienziati di tutto il mondo. Ecco come il mondo affrontò la battaglia contro questo male, e in che modo la sua diffusione ha cambiato per sempre la società in cui viviamo.
Le origini del virus HIV sono state fatte risalire a una mutazione da vari ceppi del SIV (Simian Immunodeficiency Virus), che colpisce diverse specie di scimmie: pare che il salto di specie da scimmia a uomo sia avvenuto in Africa centro-occidentale tramite contatto tra liquidi biologici, forse causato da un morso. Il primo caso accertato di sieropositività viene registrato nel 1959 e riferito a un campione di sangue prelevato a Kinshasa, in Congo: sempre in quest’area, nella seconda metà del XX secolo viene registrata la presenza di un misterioso “mal sottile” che uccide numerosi pazienti, e probabilmente si tratta già di AIDS.
È solo all’inizio degli anni ’80 che il mondo si accorge di questa malattia: a Los Angeles, San Francisco e New York, giovani uomini, per lo più omosessuali, iniziano a morire di polmoniti rare e tumori aggressivi, come il sarcoma di Kaposi. I medici, sconcertati, non riescono a spiegarsi perché il sistema immunitario di questi pazienti collassi in questo modo. Il 5 giugno 1981 un bollettino dei CDC di Atlanta segnala l’anomalia: è l’inizio ufficiale della pandemia, anche se il virus ha già attraversato continenti, da Kinshasa ad Haiti, fino alle metropoli occidentali, favorito dalla rivoluzione sessuale e dagli scambi globali.
L’AIDS non colpisce tuttavia solo il corpo: la sua associazione con la sfera sessuale e l’uso di droghe, in particolare l’eroina, espone i malati al severo giudizio morale dell’opinione pubblica. Negli anni ’80, essere sieropositivi significa portare un marchio, una condanna sociale oltre che medica; gli omosessuali, i tossicodipendenti, gli emofiliaci e gli haitiani – le cosiddette “quattro H” – diventano ben presto i capri espiatori di una paura collettiva.

Persino le celebrità non sono immuni a questa discriminazione: l’attore Rock Hudson rivela al mondo la sua malattia nel 1985, e quasi immediatamente dopo l’ospedale parigino in cui è ricoverato si svuota completamente, per paura del contagio; l’attore dovrà prenotare un intero aereo per tornare negli Stati Uniti, poiché nessuna compagnia vuole averlo a bordo; morirà il 2 ottobre dello stesso anno. Il Presidente Reagan, che di Hudson era grande amico, verrà criticato aspramente per la sua risposta tardiva al propagarsi della malattia, per anni considerata come una punizione ai comportamenti “contronatura” degli omosessuali e addirittura chiamata GRID (Gay Related Immune Deficiency).
Fortunatamente in questo periodo sono noti anche numerosi esempi di solidarietà verso i malati: Elizabeth Taylor, mossa dall’amicizia per Hudson, fonda l’AmfAR (American Foundation for AIDS Research), raccogliendo milioni per la ricerca. Ryan White, un ragazzo emofiliaco cacciato da scuola per la sua sieropositività, diventa un simbolo di lotta contro lo stigma, ispirando leggi come il Ryan White Care Act. E poi ci sono le voci di Freddie Mercury, Keith Haring, Pier Vittorio Tondelli: artisti e intellettuali che, con la loro vita e la loro morte, danno un volto umano alla malattia.
La scienza, intanto, non si arrende: nel 1983, Françoise Barré-Sinoussi e Luc Montagnier isolano il virus HIV, aprendo la strada a una conoscenza più approfondita della malattia. Nel 1984, Robert Gallo conferma il legame tra virus e AIDS, e da lì parte la corsa per trovare una cura. Nel 1996 arriva finalmente una svolta: la terapia antiretrovirale, una combinazione di farmaci che trasforma l’AIDS da malattia mortale a condizione cronica, almeno nei Paesi sviluppati. Oggi l’AIDS non fa più notizia come allora, ma non è scomparsa: nei Paesi in via di sviluppo, dove l’accesso ai farmaci è limitato, l’HIV resta una delle principali cause di morte; nei Paesi più ricchi i contagi continuano, spesso silenziosi, mentre lo stigma, anche se attenuato, non è svanito.