Lo schiattamuorto, è un termine napoletano per cui si intende il becchino, figura che si occupa di seppellire le salme, ma oggi è utilizzato in senso dispregiativo per definire uno iettatore, una persona che porta sfortuna. Le origini di questa definizioni sono però ancora oggi oggetto di discussione e fonte di dubbi. Napoli è una città che attribuisce grande importanza ai rituali legati alla morte, e il becchino assume un timore e un’aura di rispetto estremamente particolari, spesso associati anche alla sfortuna.
Sono molte però le dicerie che si legano al significato di questa parola. Per alcuni studiosi infatti il termine schiattamuorto deriverebbe dalla parola francese croquemort (croque, divora e mort cioè morte), riferendosi a quegli animali, tipo gli avvoltoi che si nutrono di carogne.
Per altri invece la nomenclatura deriverebbe dalla consuetudine, di queste figure, di bucherellare i corpi dei defunti per verificare se fossero realmente morti. Alcuni invece credono che la parola “schiattamuorto” derivi dal verbo “schiattare”, nel senso di spremere. Fino al Seicento infatti esisteva una pratica secondo cui i corpi venivamo compressi, per farne entrare di più nelle bare o per far perdere ai cadaveri tutti i liquidi.
C’è anche una leggenda che si annovera tra le svariate e possibili origini. Si dice infatti che la parola italiana “beccamorto” risalirebbe ad usanza del Medioevo, in cui si chiamava il medico che, per verificare se un uomo fosse morto, gli mordeva una parte del piede, di solito l’alluce. Se il corpo non reagiva, si procedeva alla sepoltura.
Nel tempo questa figura ha ispirato anche l’arte e gli artisti, tra cui l’iconico Antonio de Curtis, in arte Totò, che gli anche dedicato una poesia diventata molto famosa, “O schiattamuorto”. E a proposito di Totò e sepolture, al link che segue approfondiamo il significato di ‘a Livella, la celebre poesia del comico napoletano.