Dopo i drammatici eventi del giugno del 1981, Angelo Licheri è stato chiamato l’Angelo del pozzo. In effetti si tratta dell’uomo che, colpito dalle prime immagini del piccolo Alfredino, caduto proprio in un pozzo Artesiano, ha provato a salvarlo senza, però, riuscire nel suo intento.
All’epoca della tragedia Licheri ha trentasette anni e si offre come volontario per calarsi nella cavità profonda circa 60 metri. Riesce a toccare il piccolo ma non a portarlo in superficie. Nonostante questo, però, il suo disperato tentativo rimane un esempio di coraggio e responsabilità collettiva.
In quel momento, dunque, in molti si sono chiesti chi fosse quest’uomo che, per oltre quaranta minuti ha tentato l’impossibile. Al tempo dei fatti Angelo, originario di Gavoi, in provincia di Nuoro, lavorava come fattorino di tipografia a Roma. A spingerlo a provare il tutto per tutto, in quei giorni, è stata, probabilmente, la sua condizione di padre e, soprattutto, una struttura fisica esile.
Nonostante l’atto di coraggio, però, non gli è stato attribuito nessun tipo di merito o riconoscimento. Anzi, come ricorda Tullio Bernabei, il soccorritore a capo della delegazione Lazio del soccorso Alpino e Speleologico nel 1981, è stato completamente abbandonato dalle istituzioni fino a morire, nel 18 ottobre 2021 a Cagliari in difficoltà economiche.
Oltre a questo, poi, per tutta la vita ha portato sulle spalle il peso emotivo e psicologico di non essere riuscito a salvare Alfredino. Un pensiero cui è andata a sommarsi anche una condizione fisica non eccellente. Prima della sua scomparsa, infatti, Angelo Licheri viveva già da otto anni su una sedia a rotelle a causa dell’amputazione di una gamba.