Erich Priebke fu un criminale di guerra nazista, responsabile di uno degli episodi più atroci della Seconda guerra mondiale in Italia. Capitano delle SS, partecipò all’eccidio delle Fosse Ardeatine, un massacro in cui 335 italiani furono uccisi per rappresaglia dopo l’azione partigiana a via Rasella, a Roma. Fuggito in Argentina dopo il conflitto, visse per decenni sotto falsa identità fino a quando non fu smascherato da un’inchiesta giornalistica. Estradato e processato in Italia, fu condannato all’ergastolo, ma a causa dell’età avanzata scontò la pena agli arresti domiciliari, suscitando polemiche. Morì nel 2013 senza mai pentirsi per i suoi crimini.
Erich Priebke nacque nel 1913 a Hennigsdorf, in Germania, e si arruolò nelle SS, entrando nella Gestapo nel 1936. Nel 1941 fu inviato a Roma, dove operò come vice del comandante Herbert Kappler nel carcere di via Tasso, noto per la detenzione e la tortura di prigionieri politici e partigiani. Fu coinvolto nell’operazione contro la stampa clandestina dei Gruppi di Azione Patriottica (GAP), contribuendo all’arresto di Gianfranco Mattei e Giorgio Labò.
Il 23 marzo 1944, un attacco partigiano in via Rasella uccise 33 soldati tedeschi. In risposta, Adolf Hitler ordinò l’uccisione di 10 italiani per ogni soldato morto. Priebke, assieme ad altri ufficiali SS, compilò la lista delle 335 vittime, che includeva prigionieri politici, civili e 75 ebrei. Il 24 marzo, le vittime furono trasportate alle Fosse Ardeatine, dove vennero uccise con un colpo alla nuca. In seguito, Priebke ammise in tribunale di aver sparato personalmente a due persone.
Dopo la liberazione di Roma, Priebke si rifugiò nel nord Italia, continuando a collaborare con le autorità fasciste della Repubblica Sociale Italiana. Nel Dopoguerra, evase da un campo di prigionia britannico e, grazie a documenti falsi ottenuti con l’aiuto del Vaticano, si trasferì in Argentina. Qui visse tranquillamente per quasi cinquant’anni a Bariloche, insegnando in una scuola tedesca.
Nel 1994, una troupe di ABC News lo scoprì e lo intervistò. Priebke ammise il suo ruolo nell’eccidio, dichiarando di aver semplicemente eseguito ordini superiori. La notizia suscitò un’ondata di indignazione e portò alla sua estradizione in Italia nel 1995. Tra le persone che ebbero un ruolo fondamentale nella cattura di Erich Priebke ci fu Giulia Spizzichino.
Sopravvissuta alla deportazione della sua famiglia durante l’Olocausto, fu proprio il suo intervento, insieme a quello di altre organizzazioni e media, a spingere il governo italiano a richiedere l’estradizione di criminale, che fu infine arrestato nel 1994 e processato in Italia per il massacro delle Fosse Ardeatine. Nel 1996 fu condannato, ma inizialmente non punito a causa della prescrizione. Dopo le proteste dell’opinione pubblica, il processo fu riaperto nel 1997 e Priebke fu condannato all’ergastolo nel 1998.
A causa della sua età avanzata, la pena fu commutata in arresti domiciliari. Questa decisione indignò molte persone, in particolare la comunità ebraica romana, che spesso lo vedeva libero di passeggiare e frequentare ristoranti. Durante gli anni di detenzione, Priebke rifiutò sempre di pentirsi, arrivando a negare l’Olocausto.
Morì nel 2013 all’età di 100 anni. La sua sepoltura divenne un caso internazionale: Roma rifiutò di accoglierne il corpo, così come l’Argentina e la sua città natale in Germania. Alla fine, fu sepolto in un luogo segreto per evitare tensioni e atti vandalici.