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Home » Cultura » Storia » Galeazzo Ciano, il delfino del Duce che fece cadere Mussolini con un solo voto (contro suo suocero)

Galeazzo Ciano, il delfino del Duce che fece cadere Mussolini con un solo voto (contro suo suocero)

La figura di Galeazzo Ciano rappresenta uno dei più affascinanti e controversi personaggi del regime fascista.
Francesca FiorentinoDi Francesca Fiorentino25 Luglio 2025
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Galeazzo Ciano
Galeazzo Ciano (fonte: Quirinale)
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Gian Galeazzo Ciano, questo il suo nome completo, I conte di Buccari, II conte di Cortellazzo (Livorno, 18 marzo 1903 – Verona, 11 gennaio 1944), è stato un nobile, diplomatico e politico italiano, ma soprattutto l’uomo che con il suo voto contribuì alla caduta di Benito Mussolini il 25 luglio 1943.

Figlio dell’ammiraglio Costanzo Ciano, nel 1930 sposò Edda Mussolini, la figlia del Duce, un’unione che lo proiettò immediatamente nel cuore del potere fascista. Questo matrimonio strategico gli aprì le porte di una carriera fulminante. Dopo gli studi in giurisprudenza, intraprese la carriera diplomatica e venne inviato come console prima in Brasile, poi a Shanghai. Al rientro in Italia, Mussolini lo nominò capo dell’Ufficio stampa, quindi ministro della Stampa e propaganda nel 1935.

Nel 1936, all’età di soli 33 anni, Ciano raggiunse l’apice della sua carriera diventando ministro degli affari esteri. In questo ruolo, ebbe modo di osservare da vicino l’evolversi della politica internazionale e i rapporti sempre più stretti tra l’Italia fascista e la Germania nazista. Rimase in carica fino al 1943.

Inizialmente, Ciano si dimostrò scettico nei confronti dell’alleanza con Hitler. Ciano percepì chiaramente il pericolo che Hitler rappresentava anche per l’Italia e tentò di mantenere il paese lontano dal conflitto il più a lungo possibile. Tuttavia, le pressioni di Mussolini lo costrinsero a sottoscrivere il Patto d’Acciaio nel maggio 1939, malgrado i suoi tentativi di temporeggiare.

edda mussolini e galeazzo ciano nel giorno del loro matrimonio
Edda Mussolini e Galeazzo Ciano nel giorno del loro matrimonio (fonte: Istituto Luce)

Con lo scoppio della Seconda Guerra Mondiale, le perplessità di Ciano nei confronti dell’alleanza tedesca si intensificarono. Nei suoi diari, annotò di non essere sicuro se augurare agli italiani “una vittoria o una sconfitta tedesca”.

Il punto di rottura arrivò con i disastri bellici e la sempre più evidente inadeguatezza dell’Italia nel sostenere il conflitto. Ciano, che aveva inizialmente sostenuto alcune operazioni militari come l’invasione della Grecia, si rese conto dell’impossibilità di continuare su quella strada.

Il 25 luglio 1943, quando l’opposizione interna guidata da Dino Grandi stava infine per sconfiggere Mussolini, Ciano vi si unì. Durante la storica seduta del Gran Consiglio del Fascismo, votò l’ordine del giorno di Grandi (insieme ad altri diciotto gerarchi), approvando perciò l’indicazione contenuta nella mozione, volta a far sì che il re riprendesse in mano l’esercito e il governo della nazione.

Questo voto rappresentò un tradimento personale nei confronti del suocero e segnò la fine del regime fascista. Il voto di Ciano fu, sotto un profilo di pubblica immagine, il colpo più grave inferto al prestigio del capo del regime, cui di fatto pareva che nemmeno il genero fosse più affidabile.

Dopo la caduta di Mussolini e l’8 settembre 1943, Ciano tentò di fuggire in Germania sperando di trovare protezione, ma fu invece arrestato e consegnato alla nascente Repubblica Sociale Italiana. Il 17 ottobre 1943 Galeazzo Ciano che ancora si trovava a Monaco di Baviera in stato di libertà fu trasferito in Italia a Verona dove fu ufficialmente consegnato alla polizia della RSI.

Il destino di Ciano si compì con il processo di Verona, un processo farsa avvenuto, dall’8 al 10 gennaio 1944, nell’omonima città veneta. Il tribunale speciale, composto da fascisti “di provata fede”, aveva il compito di giudicare i “traditori” del 25 luglio.

Il genero del Duce fu l’unico imputato a essere condannato alla fucilazione all’unanimità: gli altri ricevettero 5 voti favorevoli e 4 contrari. Nonostante le suppliche della figlia Edda, Mussolini non intervenne per salvare il genero.

Le condanne a morte furono eseguite l’11 gennaio 1944 al poligono di tiro di forte San Procolo da un plotone di 30 militi fascisti. Gli altri cinque, vale a dire Galeazzo Ciano, Emilio De Bono, Luciano Gottardi, Giovanni Marinelli e Carlo Pareschi, furono condannati a morte e fucilati alla schiena, come previsto per i traditori.

Prima dell’esecuzione, Ciano pronunciò le parole:

“Faccia sapere ai miei figli che muoio senza rancore per nessuno. Siamo tutti travolti nella stessa bufera“.

Un gesto che chiuse la parabola di un uomo che aveva incarnato le contraddizioni e l’evoluzione del fascismo italiano.

 

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